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Ddl Pillon: cosa propone e perché minaccia i diritti delle donne

Un estratto dell’intervista su La Stampa al senatore Pillon

«Giù le mani dai bambini!», «Difendiamo i nostri figli!» erano alcuni degli slogan più ricorrenti durante i Family Day del 2015 e del 2016 contro le unioni civili e l’inesistente “ideologia/teoria del gender”. Il popolo di quelle piazze è riuscito a eleggere un proprio esponente, il senatore Simone Pillon della Lega, che ora ha proposto un disegno di legge che impone una visione reazionaria e fortemente maschilista del matrimonio, della genitorialità e dei rapporti tra uomini e donne.

Avvocato cassazionista specializzato in diritto penale e diritto di famiglia, per sua stessa definizione “papista”, Pillon è contrario all’aborto e al divorzio (come ha sostenuto in un intervista apparsa su La Stampa), alla legge sull’omotransfobia della Regione Umbria («questo protocollo consegna i bambini alle lobby gay») e a qualsiasi legge che regolamenti le coppie dello stesso sesso («la famiglia è quella naturale, le unioni civili le abolirei»).

Cosa dice il disegno di legge

Il ddl di cui è primo firmatario, in discussione in parlamento, è suddiviso in 24 articoli, ha lo scopo di modificare la legge sull’affido condiviso del 2006, introducendo principalmente quattro novità:

  1. la mediazione civile obbligatoria in tutte le separazioni in cui siano coinvolti i figli minorenni;
  2. l’affido condiviso con tempi previsti paritari e doppia residenza o doppio domicilio dei figli;
  3. l’abolizione dell’assegno di mantenimento al coniuge, sostituito del mantenimento in forma diretta;
  4. il contrasto alla cosiddetta “alienazione parentale” (sì, proprio quella Pas per la quale non esistono prove scientifiche e contro cui si battono da tempo i centri antiviolenza).

Per presentare questa iniziativa legislativa, Pillon ha usato espressioni come «uguaglianza e corresponsabilità genitoriale», «bigenitorialità», «miglior interesse del figlio», «progressiva de-giurisdizionalizzazione per rimettere al centro la famiglia e i genitori» ma negli articoli e nei commi di questo disegno di legge si nascondono insidie considerevoli per i diritti dei bambini e delle madri che hanno già messo in allarme associazioni femministe, centri antiviolenza, avvocat* e psicolog*.

Quanto pesa la disparità di genere

Nella premessa del ddl, Pillon definisce l’attuale legge sull’affido condiviso un fallimento e cita Paesi come Belgio, Quebec e Svezia, dove l’affido condiviso supera il 30%, mentre in Italia si attesterebbe appena all’3-4%. Peccato che, come ben sappiamo, questo paragone non regga affatto in quanto, rispetto all’Italia, le nazioni citate hanno un maggior livello di parità di genere sia in ambito professionale che familiare, inferiori tassi di disoccupazione, specialmente femminile e diffuse politiche di welfare a tutela e sostegno della genitorialità.

Nel nostro Paese invece le disparità economiche e occupazionali tra uomini e donne sono ancora molto forti, la disoccupazione femminile talmente alta da collocare l’Italia al penultimo posto in Europa, peggio di noi c’è solo la Grecia. Il costo sempre più elevato e non deducibile degli asili nido pesa notevolmente sui bilanci domestici, oltre al fatto che la cura della casa, dei figli e dei parenti anziani ricade quasi completamente sulle spalle delle donne che faticano sempre di più a conciliare i tempi del lavoro con gli impegni famigliari.

Alla luce di questi dati appare del tutto evidente come le novità introdotte dal ddl Pillon rischiano di scoraggiare soprattutto le donne dal separarsi, in particolare quelle con minori disponibilità economiche.

L’abolizione dell’assegno di mantenimento al coniuge in favore del mantenimento diretto, l’obbligatorietà della mediazione famigliare (percorso a pagamento, escluso solo il primo incontro gratuito, che può durare fino a un massimo di sei mesi), l’obbligo per il coniuge che abbia l’assegnazione della casa coniugale di corrispondere un canone d’affitto all’altro coniuge, rendono particolarmente gravosa da un punto di vista economico, e quindi svantaggiosa, una causa di separazione.

La mediazione familiare obbligatoria, in particolare, risulta incomprensibile, ingiustificata e nasconde aspetti fortemente problematici. In prima battuta non si capisce perché debba essere imposta anche in casi in cui non sia realmente necessaria, di fatto con questo disegno di legge le coppie che vogliono separarsi vengono commissariate dallo Stato attraverso l’imposizione di una figura professionale, per altro ricoperta dallo stesso senatore Pillon che è mediatore familiare e dal 2013 dirige il Consultorio familiare “La Dimora” di Perugia.

Nasce il sospetto che Pillon, più che al supremo interesse dei minori, si preoccuperebbe prima di tutto del proprio interesse economico.

Inoltre la mediazione familiare è vietata dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia il 19 giugno 2013, in quanto la violenza domestica non è un conflitto tra i coniugi risolvibile con una mediazione, ma violenza di genere. Le donne vittime di violenza non dichiarata/confessata si troverebbero quindi costrette paradossalmente a mediare con il proprio carnefice.

La reazione dei centri antiviolenza

Tutti questi elementi hanno spinto l’associazione Di.Re (Donne in rete contro la violenza), che gestisce oltre cento centri antiviolenza e case rifugio in tutta Italia, a lanciare una petizione su Change.org che, nel momento in cui scriviamo, ha raccolto oltre 50mila firme,  e una manifestazione di piazza a Roma il 10 novembre, affinché il ddl Pillon venga ritirato.

L’avvocata Maddalena Di Girolamo dell’associazione “Centro donna Lilith”, aderente alla rete Di.Re, che gestisce un centro antiviolenza a Latina, ricorda come «nelle donne maltrattate, anche psicologicamente, che decidono di separarsi dagli uomini che le vessano, la mediazione non funziona. La donna che ha subìto violenza deve elaborare l’esperienza stando da sola, così come i bambini hanno bisogno di una elaborazione separata, fermo restando che potranno vedere il padre in incontri protetti».

Secondo il ddl, lo scopo della mediazione familiare obbligatoria e a pagamento è la compilazione di un piano genitoriale, sorta di contratto in cui i genitori stabiliscono tutti gli aspetti educativi, formativi, le attività dei figli, le frequentazioni parentali e amicali, le vacanze e i relativi capitoli di spesa. Si introduce inoltre la doppia residenza o doppio domicilio dei figli presso le abitazioni dei genitori, dove «si garantisce comunque la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti», senza che venga specificata alcuna distinzione di età o condizione di vita dei figli, siano essi allattanti, bambini o adolescenti.

Secondo Maddalena Cialdella, psicologa, psicoterapeuta familiare e consulente tecnico del tribunale di Roma «il focus del ddl non è il bene dei figli: come può esserlo se il bambino è “diviso” al 50 per cento? Questo ci restituirà un bambino scisso, mentre bisogna lottare per l’integrità del figlio, che passa attraverso la continuità di abitudini e modalità di vita, anche se questo significa frustrare bisogni e desideri dell’adulto».

Anche la Presidente di Telefono Rosa Maria Gabriella Carnieri Moscatelli afferma che nel provvedimento «non c’è interesse per i minori, trattati come valigie». Il senatore Pillon di fronte a queste affermazioni ha dichiarato che «non possiamo sacrificare un genitore sull’altare dell’habitat del figlio».

“L’alienazione parentale” non esiste

Il disegno di legge si prefigge inoltre di contrastare la cosiddetta alienazione genitoriale o parentale.

È bene ricordare che la cosiddetta Pas, ovvero la Sindrome da Alienazione Parentale, in realtà non è una sindrome riconosciuta né dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, né dal ministero della Salute (ne avevamo parlato in modo approfondito qui).

Il ddl introduce invece questo concetto, stabilendo attraverso gli articoli 17 e 18 che, qualora il figlio rifiuti il rapporto con uno dei genitori o un altro parente, il giudice può, pur in assenza di evidenti condotte dell’altro genitore, limitarne o sospenderne la responsabilità genitoriale, o disporre il collocamento provvisorio del minore in una casa-famiglia, in attesa che i servizi sociali o gli operatori della struttura indichino un piano per il pieno recupero della bigenitorialità.

Oltre all’assoluta ingiustizia di dubitare dell’altro genitore, considerandolo sempre e comunque responsabile del rifiuto, non si fa alcun accenno alla possibilità che il giudice verifichi le motivazioni del rifiuto del figlio verso il genitore o il parente e lo si costringe a recuperare il rapporto parentale tramite mediazione.

Ma cosa accadrebbe nel caso in cui questo rifiuto fosse motivato da violenze e abusi? Ancora una volta l’obbligo della mediazione familiare risulta particolarmente pericolosa e rischia di costringere al silenzio i bambini vittime di violenze domestiche.

Il divorzio non si tocca

Appare del tutto evidente che la (contro)riforma dell’affido condiviso, dietro la promessa di una maggiore parità tra i genitori, sia in realtà un tentativo di dissuadere le coppie a separarsi e divorziare.

Ad ammetterlo è lo stesso Pillon che, nell’intervista rilasciata a “La Stampa” già citata, ha dichiarato «a me piacerebbe offrire a chi pensa di divorziare degli incentivi per non farlo. Ma sarà un passaggio ulteriore». E ancora «vorrei introdurre in Italia il “convenant marriage” americano: una forma di matrimonio indissolubile».

La vera natura del suo ddl, dunque, è un mezzo legislativo che strumentalizza a scopi puramente ideologici la frustrazione e la rabbia di alcuni padri separati e divorziati per far tornare il diritto di famiglia italiano agli anni ’50, sancendo la rivalsa del patriarcato sui diritti conquistati dalle donne a partire dagli anni ’70 (non dimentichiamoci che il divorzio è un diritto ottenuto grazie a una lunga e dura lotta dei movimenti femministi per l’autodeterminazione).

E il Movimento 5 Stelle come si posiziona rispetto alle legittime e inevitabili contestazioni che stanno convergendo sul disegno di legge?

Bisogna ricordare che il ddl si pone nel solco del contratto di governo e vede tra i cofirmatari i pentastellati Piarulli, D’Angelo, Evangelista, Giarrusso e Riccardi, (quattro donne e un uomo). Due giorni dopo le polemiche, i 5 Stelle sono intervenuti con una nota in cui dichiarano di volerne cambiare alcuni aspetti: «Sul ddl Pillon è in corso un confronto all’interno della maggioranza: ci sono alcuni aspetti che secondo noi meritano un approfondimento. Arriveremo in breve tempo ad un pieno accordo sul testo e andremo avanti con determinazione».

Nel corso di una diretta Facebook il senatore Pillon ha dichiarato che «c’è unità di intenti, ci sono posizioni da conciliare, ma stiamo lavorando in sintonia».

Come reagire?

Il contrasto al ddl può rappresentare un’ottima occasione per dare vita a una battaglia ampia, condivisa e intersezionale a difesa dei diritti delle donne, dei bambini, dei padri responsabili e di tutte le famiglie.

Sicuramente continueremo a seguirne gli sviluppi perché sul terreno dei diritti e delle libertà non si deve e non si può tornare indietro.