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Dacia Maraini, la narratrice fedele alle donne

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Chi è: Dacia Maraini, scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga e sceneggiatrice italiana, nata a Fiesole (FI) il 13 Novembre 1936.

Cosa ha fatto:  suo padre fu un acclamato scrittore ed etnologo di origini ticinesi; sua madre, una pittrice e nobildonna siciliana. I genitori erano desiderosi di abbandonare l’Italia fascista e si trasferirono in Giappone quando Dacia aveva pochi anni di vita. Nel 1943 il governo giapponese siglò un patto di alleanza con l’Italia e la Germania, ma i coniugi Maraini non acconsentirono a firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. Questa presa di posizione costò loro l’internamento in un campo di concentramento. Furono anni di privazioni e di stenti, che cessarono con l’arrivo degli Americani. La famiglia tornò in Italia e si stabilì in Sicilia, a Bagheria. I genitori divorziarono e suo padre si trasferì a Roma: lei lo raggiunse all’età di diciotto anni. Iniziò così a dedicarsi alla letteratura, e dopo la pubblicazione di alcuni racconti e dopo aver realizzato una rivista dal titolo Tempo di letteratura con alcune amiche, iniziò a lavorare a La vacanza, il suo romanzo d’esordio. Si dedicò anche al teatro fondando il  Teatro del Porcospino con altri scrittori. Autrice incredibilmente prolifica, ha vinto numerosi premi letterari prestigiosi: ha scritto sceneggiature e pièces teatrali, e ha pubblicato nel corso degli anni romanzi, racconti, poesie, racconti per bambini, saggi.

Perché è “pasionaria”: già all’esordio, la scrittrice ha offerto un’indagine sulla condizione femminile, proponendo ritratti di donne intimamente problematici: La Vacanza, uscito nel 1962,  racconta, in modo schietto e oggettivo, della breve vacanza di una giovane quattordicenne, uscita di collegio, che vive in anestesia di emozioni una fuggente esperienza di sesso; sullo sfondo, l’estate del 1943, un’Italia dilaniata dal fascismo e dalla guerra a cui lei resta totalmente indifferente. Anche nelle opere successive, incontriamo rappresentazioni disinvolte di temi come le lotte femministe, i rapporti conflittuali con la famiglia repressiva e la figura paterna, la violenza delle istituzioni sulle donne, la liberazione della sessualità, l’aborto.

Notevole l’opera Donna in guerra, datato 1975:  una testimonianza della presa di coscienza della protagonista che, da donna  prigioniera degli stereotipi  della tradizione femminile, prende coscienza e diventa l’ artefice della propria vita con fatica e pesanti prezzi da pagare, primo fra tutti la separazione da un marito che ama. Nelle sue opere, ha proposto personaggi femminili innovativi, forti delle acquisizioni del movimento femminista, che sanno imporsi e rifiutare i ruoli tradizionali imposti dal potere maschile. E’considerata una delle scrittrici italiane più femministe, e le sue idee sono presenti non solo nelle sue opere ma anche in interviste e incontri pubblici. In occasione dell’ultimo 8 marzo, ha dichiarato: “Io sono dalla parte delle donne perché penso che sia giusto così, perché mi riconosco nella storia delle donne e penso che ci siano state tante ingiustizie”.

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Donne mie illudenti e illuse che frequentate le università liberali,
imparate latino, greco, storia, matematica, filosofia;
nessuno però vi insegna ad essere orgogliose, sicure, feroci, impavide.
A che vi serve la storia se vi insegna che il soggetto
unto e bisunto dall’olio di Dio è l’uomo
e la donna è l’oggetto passivo di tutti
i tempi? A che vi serve il latino e il greco
se poi piantate tutto in asso per andare
a servire quell’unico marito adorato
che ha bisogno di voi come di una mamma?
Donne mie impaurite di apparire poco
femminili, subendo le minacce ricattatorie
dei vostri uomini, donne che rifuggite
da ogni rivendicazione per fiacchezza
di cuore e stoltezza ereditaria e bontà
candida e onesta. Preferirei morire
piuttosto che chiedere a voce alta i vostri
diritti calpestati mille volte sotto le scarpe.
Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite,
sappiate che se volete diventare persone
e non oggetti, dovete fare subito una guerra
dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma
contro voi stesse che vi cavate gli occhi
con le dita per non vedere le ingiustizie
che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi
vi considera delle nemiche, delle rivali,
degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria
tutti i giorni senza neanche saperlo,
contro chi vi tradisce senza volerlo,
contro l’idolo donna che vi guarda seducente
da una cornice di rose sfatte ogni mattina
e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,
scintillanti di collane, ma prive di braccia,
di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio
solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso
(il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so)
un’ amore senza scelte, istintivo e brutale.
Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire
donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà
di intenti, libere infine di essere noi
intere, forti, sicure, donne senza paura.

Donne mie,  1974

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È possibile che la povertà rappresentasse un grandissimo progetto di libertà femminile? Possedere, dice Chiara, vuol dire dipendere da qualcosa è da qualcuno. Quindi possesso significa controllo. Controllo economico, politico, sociale, psicologico, religioso. E controllo rigorosamente maschile. 

Chiara d’Assisi. Elogio della disobbedienza, 2013