
Siamo carne da macello.
Questa è stata la prima considerazione a caldo del nuovo decreto del primo ministro Conte per arginare i nuovi, prevedibili, focolai autunnali di Covid-19.
La situazione è grave e complessa, i contagi vanno fermati, non c’è dubbio. Ma le istituzioni in 8 mesi di pandemia non hanno saputo neanche cominciare a ripensarsi, lasciandoci in balia di un sistema in cui gli interessi economici di chi ha tutti i mezzi per non morire di coronavirus continuano a essere la priorità.
Lo spauracchio della “emergenza”
Give us bread and give us roses, dateci il pane e dateci le rose, cantavano le socialiste americane in sciopero nei primi del Novecento e, ingenuamente, davamo per scontato che nessuno governo di una nazione democratica avrebbe considerato “le rose”, cioè tutto ciò che non serve alla stretta sopravvivenza del corpo ma a vivere con dignità, qualcosa di superfluo e perfettamente sacrificabile per nascondere l’incapacità di fronteggiare ciò che sta accadendo.
Si sapeva da maggio che con l’arrivo della stagione fredda la famigerata seconda ondata sarebbe arrivata e sarebbe stata peggiore della prima.
Se in primavera abbiamo accettato di buon grado i provvedimenti e i sacrifici imposti, come si può ancora pretendere credibilità gridando all’emergenza dopo otto mesi di “tana libera tutti” in cui per sedare la rabbia e le preoccupazioni si è preferito fingere che il problema fosse risolto, invece che approntare interventi strutturali per impedire di nuovo di colpire le fasce più deboli e in difficoltà della popolazione?
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Un modello di società schiacciato sul capitale
Si è ripetuto che questi provvedimenti sono necessari per ridurre le possibilità di contagio, limitando le interazioni sociali. Ma la sensazione è che, nell’impossibilità politica di un nuovo lockdown totale, si sia semplicemente colpito ciò che è stato ritenuto sacrificabile per dare il segnale che il governo, pur diviso al suo interno e sotto pressione, stia facendo davvero qualcosa.
E che cos’è stato giudicato non essenziale? Ristoranti, cinema, teatri, palestre, piscine hanno in comune il fatto di essere luoghi di socialità e svago, nei quali poter alleviare lo stress della routine quotidiana e dedicarsi ad attività che aiutano a mantenere la salute sia mentale che fisica. Non ci sono prove scientifiche che queste specifiche attività siano causa della risalita dei contagi. Al contrario, molte di queste attività hanno speso soldi per adeguarsi alle norme e riaprire in totale sicurezza.
E allora perché non chiudere anche i negozi di generi non strettamente essenziali?
Per salvarci la vita, non possiamo andare a cena fuori ma dobbiamo continuare a lavorare in ambienti non sicuri. Non possiamo andare a scuola ma siamo costrett* ad accalcarci sui mezzi pubblici. Non possiamo andare in palestra, al cinema, a un concerto, a teatro ma possiamo andare a spendere al centro commerciale.

Tolta ogni possibilità di socialità che non sia davanti a uno schermo, una delle poche libertà che ci rimane è quella di comprare. Ma se non possiamo andare dove vorremmo, se perdiamo il lavoro, se non possiamo incontrare un’amica, se non ci sentiamo al sicuro, il fragilissimo “produci, consuma, crepa” neoliberista che regola le nostre vite si inceppa. Non funziona più.
Quello che emerge, in modo più o meno consapevole da parte del governo, da questo DPCM è un modello ben preciso di società, dove l’imperativo è produrre (solo beni materiali, perché ciò che è servizio o è cultura vale evidentemente zero), alienarsi, consumare se se ne ha la possibilità. E così passare un’esistenza a cercare di sopravvivere, non al virus, ma al capitalismo.
La scuola, capro espiatorio
In questo sistema come si inserisce la decisione di tornare alla didattica a distanza (DAD) nelle scuole superiori per almeno il 75%?
I malumori hanno fatto ammettere, almeno a qualche amministratore con un barlume di onestà intellettuale, che non è la scuola di per sé il problema: la sospensione della frequenza è un tentativo di alleggerire la pressione sul trasporto pubblico.
Trasporto pubblico che si sapeva da ben prima dell’estate che sarebbe stato messo sotto pressione. Eppure lo Stato in questi mesi non è stato in grado di intervenire (a livello locale, come in Toscana, si sta provando solo ora a mettere una pezza), anche a causa delle politiche scellerate con cui il servizio pubblico dei trasporti è stato delegato al settore privato.
Al momento sono state risparmiate scuole dell’infanzia, elementari e medie. Il perché è chiaro: pongono meno problemi in termini di affollamento dei mezzi. Ma non solo: chiudere gli ordini inferiori di scuola sarebbe stata una decisione altamente impopolare perché avrebbe costretto molti genitori a ricorrere a permessi straordinari o ad assentarsi da lavoro. E questo nell’ottica produttivista non è ammissibile.
Ne consegue che tra poco rischieremo di trovarci di fronte a un’altra emergenza, quella della salute mentale delle persone adolescenti, private della socialità e dell’ambiente più consono a ricevere un’istruzione adeguata.
Lo stato padre e padrone
Questa realtà deve essere assorbita attraverso toni paternalistici che se a marzo potevano essere contestualizzati, ora non più.
“Comportatevi bene o si chiude” è il ritornello che ha accompagnato ogni provvedimento preso senza troppe spiegazioni ma fatto passare come decisioni moralmente giusta perché presa da persone “esperte. Via via si sono ricercati sempre nuovi capri espiatori (da chi usciva a farsi una corsetta o a portare fuori il cane, fino ai “giovani”), uno stile comunicativo che ha avuto molto presa sui social, fino a scatenare una vera e propria caccia all’untore.
Ci vediamo trattare come bambin* senza coscienza, tenut* a ubbidire senza azzardarci a pretendere spiegazioni, in nome di una emergenza che non può essere più considerata tale, non perché la situazione non sia grave, ma perché era prevedibile che diventasse la normalità con cui convivere almeno per un altro anno.
In cambio lo Stato ci premia con qualche sussidio (insufficiente e non per tutti), con la possibilità di fare debiti con meno limiti (attraverso il più facile accesso al credito per certe categorie) e con qualche bonus che garantisca di farci continuare a spendere (che sia in vacanza o per comprare il monopattino elettrico).
Ma se i contagi risalgono, il messaggio dello Stato è chiaro: è colpa nostra e per questo dobbiamo essere punit*.
Certamente persistono i comportamenti scorretti da parte dei singoli, ma come tali dovrebbero essere sanzionati. Non ha senso scaricare la responsabilità di una gestione che si è rivelata insufficiente a partire dal sistema del tracciamento dei contatti.

Non andrà tutto bene
La situazione sociale, come dimostrano le rivolte di piazza degli ultimi giorni, diventa sempre più incandescente. A prescindere da tutti i discorsi che possono essere fatti riguardo a frange violente neofasciste o agli ambienti degli ultras calcistici nelle manifestazioni di protesta, è chiaro che c’è una parte sempre più consistente del Paese che non ne può più di questa gestione dell’emergenza.
Chi ha perso il lavoro o non riesce più a lavorare come prima.
Chi per pagare l’affitto deve continuare a lavorare a discapito della propria salute (i morti sul lavoro a causa del Covid sono aumentati del 20%, soprattutto nelle zone più produttive del Paese, dove i luoghi di lavoro si sono spesso trasformati in focolai).
Chi ha piccole attività e si vede costretto ancora una volta ad abbassare le serrande e licenziare dipendenti, provando a vivere di sussidi che non bastano a tamponare i debiti in aumento.
Chi ha patologie e disabilità e si ritrova senza sostegno in un periodo in cui tutti gli sforzi della sanità sono concentrati sul coronovirus (come a Sassari, dove un centro per le malattie rare è stato trasformato in polo adibito esclusivamente ai pazienti positivi al Covid).
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Chi è sol*, non ha pensione né diritto ai sussidi, non ha una casa.
Tutte quelle persone critiche verso quest’ultimo provvedimento perché lo leggono come l’ennesima mortificazione dei tentativi di ricostruire spazi di serenità, perché sono stufe di vedere leso il proprio diritto alla studio e alla salute.
Purtroppo, però, non sembrano esserci forze politiche capaci di un’analisi approfondita né di raccogliere la rabbia e trasformarla in azione politica.
Poteva essere l’occasione per mettere in discussione un sistema economico che ormai ha più volte mostrato tutte le sue falle, invece, sembra che tutto debba tornare esattamente come prima, anzi un po’ peggio.
Saremo più pover* e vivremo condizioni di lavoro sempre peggiori, con minori tutele e garanzie. Avremo perso molto della nostra salute fisica, moltissimo della nostra salute mentale. Saremo persone sempre più alienate, chiuse nel cerchio del produrre e consumare, isolate nelle nostre solitudini, sospettose di fronte all’Altro, violente nelle parole e nei gesti. Frustrate, rabbiose, colpevolizzate.
Al di là delle belle parole, per i governi siamo solo carne da macello.
Eppure gli strumenti per analisi e risposte ci sono, anche e soprattutto da parte di quei movimenti femministi che sono così poco ascoltati.
È tanto che gridiamo il nostro dissenso rispetto a questo tipo di società. È tanto che abbiamo un piano per una società alternativa.
Cosa aspettiamo a riprenderci il pane e anche le rose?