Barbara sale le scale faticosamente. Il suo corpo disabile è impegnato nel coordinare ogni movimento, lento e studiato per non cadere, ma i suoi pensieri vanno veloci. Corrono attraverso domande che si pone e pone anche a chi la osserva, mettendo a nudo se stessa e la sua vita per cercare risposte, costringerci a interrogarci con lei.
Barbara si mette a nudo, letteralmente, porgendo il suo corpo e le sue cicatrici per raccontare qualcosa che la maggior parte degli occhi non può (non vuole?) vedere.
Lei lo sa e chiede ripetutamente, con la sua voce fuori campo: “Mi vedi?“.
C’è un bel progetto intorno alla storia di Barbara Apuzzo, attrice ed autrice teatrale milanese, ed è la realizzazione di un film dal titolo “Non è amore questo” del quale lei stessa ha scritto la sceneggiatura insieme alla regista Teresa Sala e a Francesca Garolla. Un progetto ora in fase di realizzazione attraverso un crowdfunding sulla piattaforma Eppela.
Il lungometraggio racconterà, attraverso la presenza quasi osmotica della camera, senza filtri, quattro giorni della vita quotidiana di Barbara, fatta – come quella di tutti – di abitudini, rapporti umani, pensieri.
L’obiettivo è quello di rivelare ciò che non si vede, capovolgendo la percezione di un corpo disabile che apparentemente è solo limite ma diventa in questo caso trama di una narrazione, protagonista dei pensieri, parametro delle riflessioni e di un ribaltamento di prospettiva.
Un corpo che si mette a nudo, soggetto e oggetto di desiderio con le sue cicatrici, le sue imperfezioni. Un corpo che potentemente occupa la scena e l’attenzione di chi guarda lasciando man mano spazio alla voce, alla narrazione, a ciò che non si coglie.
Nel breve tempo del teaser promozionale che accompagna la campagna di crowdfunding, infatti, viene fuori la donna, la Barbara che sta dietro alle percezioni superficiali, agli stigmi con una grande voglia di raccontare la sua vita, i suoi luoghi e i suoi pensieri per permetterci di andare oltre insieme a lei.
Lo fa con estrema naturalezza, in modo delicato, anche quando si domanda e ci domanda qualcosa di profondo come il desiderio sessuale. “Sono stata all’altezza? Ti ho fatta godere? Che sensazione ti ha dato il mio corpo? L’idea di fare l’amore con me ti ha tolto il respiro?”. Domande che restituiscono una dimensione nella quale il suo corpo parla, racconta il desiderio, l’amore e ci ricorda con forza che la disabilità non appiattisce la fisicità e il diritto di viverla con tutte le sfumature di cui è capace.
Abbiamo fatto qualche domanda a Barbara, che ringraziamo per la sua disponibilità.
Come nasce il progetto “Non è amore questo”?
“Non è amore questo” nasce due anni fa dall’incontro con Teresa Sala. Entrambe lavoravamo nella stessa compagnia teatrale, io come attrice e lei come videomaker. Abbiamo iniziato a conoscerci, a confrontarci su svariati argomenti. Un giorno lei se n’è venuta fuori chiedendomi se volessi lavorare su un progetto sulla sessualità delle persone disabili. E così è stato.
Io a quell’epoca stavo anche lavorando in uno spettacolo in cui ognuno di noi attori disabili accoglieva uno spettatore per volta nel proprio letto. Un monologo di 8 minuti. Un monologo in cui ognuno di noi raccontava la propria intimità. Credo di aver baciato e fatto piangere tutti quelli che son venuti nel mio letto. E li mi son detta: “ma allora le persone hanno bisogno anche dei miei baci, dei miei abbracci“. E in tutto questo ovviamente c’è una gran voglia di farne un progetto poetico, artistico.
Teresa ha un occhio molto delicato, e non ho dubbi che ne verrà fuori un lavoro molto bello.
Che tipo di messaggio vuoi lanciare con il tuo film?
L’intimità fa parte di tutti. Non è una questione di categoria. Le categorie non esistono. Esistono individui con proprie specificità. E considero la disabilità una di queste. Non credo assolutamente a chi dice: “io la tua disabilità non la vedo, per me non esiste”. Invece no. La disabilità c’è, ed io voglio che venga vista. Perché è una fatica in più. Ma che, almeno per me, aggiunge valore.
Come pensi che si possano abbattere gli stereotipi e i tabù legati al sesso e la disabilità?
Parlandone. Un po’ come mi sembra di star facendo adesso con te. Mi sembra di averti di fronte. E ne stiamo parlando. In tono molto intimo, mi sembra. Senza sfiorare un tono educativo o tutelante. Esiste un altro tabù che secondo me questo film va ad abbattere: quello secondo cui io della mia intimità non parlo a nessuno perché sono cose totalmente mie. Ecco, io credo che se invece ci fidassimo e ci raccontassimo di più, saremmo tutti meno soli a questo mondo.
Quali sono gli ostacoli maggiori, come donna con disabilità, all’espressione della tua femminilità e alla soddisfazione della tua affettività e sessualità?
Tutte le mie paure. Nient’altro. Perché mi accorgo che se io mi presento con tutta la mia voglia di farmi conoscere, allora è fatta. Non credo che le donne disabili abbiano più difficoltà rispetto agli uomini disabili ad intraprendere questo percorso.
È stato difficile trovare finanziatori e persone che credessero nel progetto?
Voglio menzionare una persona molto importante per il progetto e per me in prima persona: Mario Nuzzo, che ha immediatamente sposato l’idea, affettivamente e produttivamente. Per il resto, non è stato semplicissimo all’inizio. Ci stiamo rendendo conto che questo è un lavoro che ha bisogno di tempo, ha bisogno di lasciarsi conoscere con calma. È un po’ come me. Avvicinati e guardami. Se non ti dai tempo vedrai solo la mia disabilità. Lentamente scoprirai tutto il resto.
Barbara cosa sogna per il suo futuro?
Una realtà in cui l’amore non debba essere per forza costretto al solo amore di coppia, dove le persone non abbiano paura delle più svariate forme e dimostrazioni dell’amore.
Mi permetto di aggiungere una cosa molto personale: il film sarà interamente dedicato a mia madre, donna meravigliosa a cui devo tutto. Mamma ci ha lasciati quasi tre mesi fa. Ho scritto parte della sceneggiatura mentre stavo con lei in casa di riposo, periodo in cui, pur stando male, era vigile ed accarezzava le mie giornate con sorrisi, amore e risate. Questo per me è un modo per dirle grazie.