Con l’approvazione dei decreti attuativi si è concluso l’iter travagliatissimo della legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Una legge incompleta, imperfetta e a tratti discriminatoria, ma comunque un passo avanti nell’ordinamento italiano.
Negli ultimi due anni di battaglia a fianco della comunità LGBTI italiana, sono scese in campo tante persone, che non appartengono alla comunità (a cominciare dalla promotrice della legge), ma che sono state preziosissime per spingere il parlamento alla sua approvazione, come ha sottolineato anche la rivista Pride.
Sono le alleate e gli alleati delle nostre battaglie.
Io ne sono stata contenta, all’inizio anche stupita. Diciamo la verità: quando troviamo una persona che, pur non essendo coinvolta in prima persona, si dedica alla nostra causa, siamo pronti ad accettare tutto da quell’alleato o da quell’alleata, anche quando, in buona fede, perpetuano un linguaggio discriminatorio o portano avanti stereotipi.
Ma se ci riflettiamo un momento, capiamo che certi atteggiamenti vanno fatti notare, che essere un’alleata o un alleato significa anche e soprattutto essere pronti a mettersi in discussione, a imparare e a correggere i propri errori.
E questo vale per ogni campo della giustizia sociale, tutti noi possiamo essere a nostra volta alleati che sbagliano. Come attivista LGBTI negli ultimi anni soprattutto mi sono capitate molte di queste occasioni.
Vi assicuro, non c’è momento più imbarazzante di quando sento dire a persone eterosessuali: “l’amore è sempre uguale” o ancora “l’amore è amore, il genere non conta”. La prima reazione a queste frasi è constatare che non tengono conto di quello che subiscono quotidianamente le persone che si pongono al di fuori dell’eteronormatività, il secondo pensiero, di certo meno gentile, è “tu non sai di cosa stai parlando”.
Ecco dunque qualche consiglio per tutte e tutti noi per essere migliori alleate e alleati. Vi parlerò direttamente della mia esperienza, ma sono certa che gli stessi principi si possono applicare a qualsiasi lotta contro diversi assi depressione di oppressione.
1. Informati
“Io so cosa vuol dire LGBTI, so cosa sia l’omotransfobia ”. Non ne dubito. Ma alla teoria è bene abbinare la pratica: non potete sapere direttamente quali effetti concreti abbiano l’oppressione nella vita quotidiana di una persona oppressa se non appartenete a quella categoria.
Per tornare all’esempio, non puoi sapere cosa vuol dire che le nostre famiglie sono considerate di serie B dallo Stato o che i nostri figli non sono riconosciuti o che per via del mio orientamento o del mio genere posso perdere il lavoro.
Ascolta la mia testimonianza delle pratiche della mia comunità, informati attraverso documentari, attraverso la voce delle altre persone, attraverso libri, attraverso articoli; adesso che internet è accessibile praticamente a tutti i modi per informarsi sono infiniti. Se ti sembra di non aver capito qualcosa, chiedi.
2. Non parlare al mio posto
Questo è ancora più importante: la pressione funziona imponendo il silenzio o una narrativa preconfezionata fatta di stereotipi, per esempio gay sempre effeminati, lesbiche mascoline, i nostri amori promiscui o infelici.
È facile alzarsi e dire “vi insegno come le persone lgbti sono davvero”, ma sei sicura o sicuro di conoscerci tutti? Di poter generalizzare senza creare altri stereotipi?
Invece di parlare al posto nostro, supportaci nel tentativo di far emergere nuove narrazioni, le nostre. Le nostre storie di felicità e depressione. Non puoi sostituirti a noi.
3. Accetta le critiche
Essere criticati non è piacevole e può mettere in difficoltà. Ma se ti dico che stai sostenendo qualcosa di falso, di sbagliato o peggio, qualcosa che mi offende come membro di una certa comunità, non cercare scuse, non dire che è solo il tuo “sentire personale”.
Ricordati che tu, alleata o alleato, non fai parte della mia comunità e non hai diritto di sostituirti a essa. Piuttosto chiedimi di spiegarti e, molto probabilmente, ti spiegherò dove stai sbagliando (ma ricordati che educare non è un mio dovere).
4. Rispettami
Oltre a non sostituirti alla mia voce, non fare di me un trofeo per dimostrare il tuo attivismo, il tuo essere progressista. Frasi come “sono carini! sono come noi! non c’è niente di male”, sono frasi che reificano, ci rendono come oggetti di una teca.
Forse potranno servire a far comprendere le nostre ragioni a persone che di quella realtà non sanno nulla, ma in nostra presenza sono uno schiaffo nel viso. Evita questo linguaggio.
Informarsi, lasciar parlare, accettare le critiche, rispettare: sono queste le caratteristiche che rendono un’alleata o un alleato ottimi. Ci vuole pazienza, ci vuole esercizio e perseveranza, ma sono sicura che troverai molte persone disposte ad aiutarti lungo il tuo percorso e che così, insieme, contribuirete di più e in modo più efficace alla causa per la quale combattete