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Cinema e sessismo: cosa ho imparato in un mese di #tuttimaschi

Chiara Zanini ci racconta cosa comporta denunciare pubblicamente il sessismo nel mondo del cinema: sta ricevendo minacce di azioni legali e insulti ma qualcosa inizia a muoversi

Il cast del film “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante (2020)

«Abbiamo grande rispetto per le donne, sei tu che non ne hai e le usi!»
«Evidentemente i film delle donne fanno cagare!»
«Parassita!»
«Avete rotto i coglion* co’ ‘ste quote rosa!»
«La tua è tutta invidia!»
«Lo fai solo per avere attenzioni!»
«Isterica!»
«Mettiti gli asterischi nel cul*!»
«Vuoi solo soldi per la tua newsletter!»
«Evidentemente hai mandato un film e non te l’hanno preso!»
«In un momento così delicato evita di rompere i coglion*!»
«E tu saresti una femminista?»

Quando il mese scorso ho iniziato a curare una newsletter, Cineaste, dedicata ai film diretti e scritti da donne, non immaginavo che mi sarei trovata con un bagaglio di nuove conoscenze sull’umanità in così poco tempo.

Ho ricevuto osservazioni e insulti per aver osato parlare non solo di film, ma anche di quei festival che pur ricevendo migliaia di euro in contributi pubblici e privati definiscono una programmazione facendo a meno delle registe, e scuole di cinema che si comportano analogamente per quanto riguarda la formazione.

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Denunciare il sessismo ha un prezzo

L’Est Film Festival, il primo evento di cui ho parlato, mi ha minacciata di azioni legali e ha tentato di scatenarmi contro una shitstorm, trovandosi poi a poter contare su pochi adepti, talmente ridicoli nelle loro esternazioni da suscitare in me un sentimento di pietà: dev’essere terribile sentirsi il mondo contro a causa delle donne che prendono parola.

Sono stata minacciata di azioni legali per aver osato notare che a un festival sostenuto da Mibact, Regione Lazio e…

Pubblicato da Chiara Zanini su Martedì 13 ottobre 2020

Altre persone, tra cui alcune donne, hanno chiesto spiegazioni oppure una bibliografia per capire meglio cosa stava accadendo – anche se, a dire il vero, ero stata io a suggerire loro di studiare un po’ per evitare nuove figuracce.

Qualcosa per fortuna l’ho imparato anch’io, e sono felice di poterlo condividere con altr*.

Con il secondo invio della newsletter ho segnalato l’assenza di registe nel programma di Est Film Festival, assenza che si può rilevare facilmente dal sito ufficiale.

Accetto dunque di fare per l’ennesima volta quello che ci vorrebbero obbligare a fare gli uomini “basici”: contestualizzare (anche se sappiamo che anche avendo contestualizzato lo stupro compiuto da Montanelli, lui rimane uno stupratore con una professione che lo distingueva dagli altri).

Ok, contestualizziamo: il comune della Tuscia in cui si svolge l’Est Film Festival, Montefiascone, è ora commissariato per la seconda volta in dieci anni e le attività culturali sono scarse. Le due cose sono probabilmente correlate: chi non ha cura della propria terra in genere non capisce quali benefici potrebbe trarre la comunità da un congruo finanziamento del comparto culturale.

Alcuni abitanti mi hanno dato della stronza per la segnalazione fatta (e ripresa da centinaia di donne e qualche uomo), perché se davvero il ministero dei Beni Culturali, la Regione Lazio, l’Università della Tuscia e i numerosi privati che sostengono il festival decidessero di ascoltarci, allora Montefiascone si troverebbe senza il suo festival e senza incontri con i registi.

Non credo succederà perché sappiamo bene che per realizzare un bell’evento è opportuno instaurare un dialogo con l’amministrazione locale e l’associazione che organizza l’Est ha ormai un rapporto consolidato con le istituzioni, il rapporto più longevo che un’associazione culturale con sede nel comune possa vantare con l’ente stesso. Non c’è quindi vera concorrenza: ad occuparsi di cinema a Montefiascone sono solo loro.

Le registe ci sono, ma sono marginalizzate

La regista Maria Arena

Trovo molto triste che un festival che beneficia così fortemente dell’affetto dei residenti li stia in realtà prendendo per i fondelli, dicendo solamente che non c’erano registe candidate. Purtroppo molti si fermano qui, salvo scrivermi per spiegarmi che non sono femminista in quanto non starei facendo tutto questo per un ideale di uguaglianza, ma solo per interesse personale. Fatico a comprendere quest’acccusa perché non mi è mai stata argomentata.

Quello che succede è che le donne sono da sempre una minoranza nell’ambito della regia, perciò è normale ci siano meno candidate. Inoltre chi lavora nei festival sa che c’è una pratica quasi mai dichiarata: si fanno inviti mirati per avere registi affermati, o film che permettano di affrontare determinate tematiche.

Pensare che Marco Bellocchio abbia chiesto personalmente ai festival di mezzo mondo di invitarlo è un’illusione. Sono i festival a cercare Bellocchio. Così come molti hanno cercato di inserire nel proprio programma un documentario sulle questioni ambientali, perché non parlarne affatto pur non avendo ricevuto opere a tema sarebbe nel 2020 un vero peccato. Negare queste evidenze è un atto di viltà nei confronti del proprio pubblico.

Provo a spiegarlo con un altro esempio. I bandi comunali, regionali, ministeriali, hanno generalmente in comune una richiesta che li accomuna, ossia quella di arrivare tramite i diversi strumenti di comunicazione alla cittadinanza tutta, al fine di rispecchiare il pluralismo della nostra società. Se organizzo un festival a Prato, dove vivono moltissime persone di origine cinese, e non ricevo candidatura da nessuna persona di origine cinese, sto sbagliando qualcosa e devo adoperarmi per rimediare. Posso andare a bussare alle associazioni per lasciare un volantino, posso chiedere alla stampa locale di scriverne, posso mandare e-mail mirate.

Il sessismo è normalizzato

Quando ho parlato a collegh* e cineast* dell’attacco squadrista da parte dell’Est Film Festival la risposta è stata spesso: «Lasciali perdere, non li conosce nessuno. Rischi solo di fare loro pubblicità e trovarti con una denuncia che farà ridere qualsiasi avvocato!». Ho proposto un boicottaggio culturale e virtuale, e pur non avendo ostacolato alcuna proiezione sono stata accusata di violenza.

Mi rendo conto di non essere né Brian Eno, né Roger Waters, che si schierano con la Palestina, ma a chi ha bisogno di più informazioni su cosa sia questa forma di boicottaggio consiglio la pagina di BDS Italia in merito, oppure questo articolo in cui racconto perché molti cineasti iraniani boicottano il festival ora supervisionato dal regime, cui in passato hanno partecipato.

Non credo si debba sempre manifestare le proprie ragioni in modo decoroso e lasciarci dire come, quando, dove e perché.

I film in concorso a Est Film Festival erano davvero belli e posso dirlo perché vedendo centinaia di film so che quelli meritano una visione, ma c’è una vasta produzione di film diretti da donne, anche volendo limitarci a registe residenti in Italia.

La lettera degli avvocati che avrebbe dovuto spaventarmi non è ancora arrivata, e il Corriere della sera ha parlato di questa minaccia definendomi attivista anziché critica (forse con l’intento di screditarmi) ma nel frattempo ho scoperto un altro festival senza donne: Presente Italiano a Pistoia. I film sono solo sei e anche qui tutti belli, ma di nuovo non ci sono donne.

Avendo riscontrato che l’italiano medio va poco al cinema e non sceglie film diretti da registe, né sa indicare qualche titolo, ho abbinato alla segnalazione un elenco di decine di film che i festival potrebbero selezionare.

Purtroppo il direttore artistico di Presente Italiano non mi ha permesso di divulgare il contenuto dell’e-mail che mi ha mandato, ma – sintetizzando quanto aveva scritto sul mio profilo Facebook – sostiene che non spetta a loro occuparsene. Non spetta a loro – afferma – dare un piccolo contributo affinché una società maschilista prenda coscienza di sé e valorizzi il lavoro delle donne, è un problema del cinema ovunque nel mondo ed è così e basta. Ci pensassero le donne a formarsi e a produrre e distribuire nelle sale i propri film!

Una scena del film “Le sorelle Macaluso” di Emma Dante (2020)

Per le donne è più difficile fare carriera nel cinema

Se devo limitarmi alla mia esperienza e a quelle che mi vengono riferite, posso dire che avendo considerato da adolescente di diventare sceneggiatrice sono sempre stata ostacolata nei miei sogni. E che tra le mie compagne del Dams (università pagata a mie spese contro il volere di una famiglia che pure conta degli artisti) solo una che ha invece avuto l’appoggio della famiglia è oggi una cineasta. Tutte le altre – a parte me – hanno dovuto (e non voluto) prendere altre strade.

Perché non si tratta solo di trovare chi produca il tuo film, ma anche di accompagnarlo nel percorso successivo. Proprio a causa della disparità di genere, infatti, per le donne è in media più difficile avere i soldi per andare ai festival (vitto, alloggio, trasporti) quando si viene selezionate, ed il networking che si fa in quelle occasioni è di importanza vitale per i progetti successivi. È ovvio che se nessuno ti conosce perché non puoi permetterti di andare in giro, nessuno poi ti invita.

Non ho iniziato ieri a dire che quello del cinema è un ambiente escludente, tanto che nel 2016 ho scritto con Leonardo De Franceschi, Giulia Grassilli e i registi e le registe Suranga Deshapriya Katugampala, Nadia Kibout, Fred Kuwornu, Razi Mohebi, Alfie Nze e Reda Zine un manifesto dal titolo “Per un cinema diverso”, per avere più pluralismo, diversità e opportunità nelle industrie creative. Insieme abbiamo organizzato incontri ai festival di Venezia e di Roma, venendo a volte considerati “terzomondisti”.

In quei mesi una commissione parlamentare stava convocando le associazioni di cinema per raccogliere alcune testimonianze, come avviene per ogni nuova legge attraverso delle audizioni. Anche se molti professionisti non erano consapevoli quanto noi del problema della rappresentanza, abbiamo trovato ascolto presso alcuni di loro, abbiamo creato un minimo di consapevolezza, e per farla breve abbiamo ottenuto che per legge oggi siano garantiti incentivi per la parità di genere nelle produzioni. Un bel risultato, non solo per le donne, ma per l’ambiente di lavoro che donne e uomini condividono.

Purtroppo però rispetto a questi incentivi c’è poca informazione, e ancora non si parla della possibilità di dotarsi di diversity manager come avviene altrove.

Se nel caso di Est Film Festival e Presente Italiano ho ricevuto quello che può essere definito anche un attacco alla critica e alla libertà di stampa, non è stato molto diverso quello che è successo con l’Accademia Renoir, una scuola di cinema che per i corsi di regia e sceneggiatura ha deciso quest’anno che si può fare a meno delle donne come docenti.

Come già avevano fatto Est e Presente Italiano, il regista Ciro D’Emilio è piombato sulla mia bacheca con un atteggiamento passivo-aggressivo, perché insomma dai, è proprio da stronze prendersela con loro adesso che siamo a un passo da un nuovo lockdown, no? Del resto per noi donne il primo lockdown è stato una favola, giusto? E comunque in passato hanno impiegato anche delle donne, suvvia.

La discriminazione è strutturale

Io però penso ci siano delle ragioni strutturali se mi trovo a lanciare un #tuttimaschi ad ogni newsletter e a ricevere lo stesso tipo di commenti. Cosa ci dicono questi commenti? Che diamo fastidio e che siamo nel giusto. Che c’è un problema enorme di consapevolezza che manca e che mancherà sempre se non ci uniamo.

E poi che se mi stuferò degli haters ci sarà qualcun’altra ad occuparsene, e poi altre ancora, magari in nuove forme. Si chiama femminismo ed è qualcosa che non intendo farmi spiegare da liberi pensatori maschi feriti.