Un recente episodio, di cui si sono occupati numerose fonti di informazioni italiane e internazionali, ha risollevato il dibattito sugli obiettivi e le modalità con cui perseguire l’uguaglianza di genere della ricerca scientifica, in particolare nella fisica.
“Le donne non sono portate per le scienze”
La vicenda in questione riguarda la presentazione tenuta lo scorso 28 settembre dal fisico teorico Alessandro Strumia, professore all’Università di Pisa e ricercatore affiliato al CERN di Ginevra, durante il workshop “High Energy Theory and Gender’’ (Teoria delle Alte Energie e questione di genere). Per l’occasione aveva fatto richiesta agli organizzatori di poter parlare di suoi studi bibliometrici sulle pubblicazioni scientifiche di ricercatori uomini e ricercatrici donne.
Nella presentazione di questi risultati, Strumia si è proposto come voce negazionista delle discriminazioni e dei pregiudizi di genere nella fisica e ad essa oppone una tesi “conservatrice” secondo la quale la presenza di un maggior numero di uomini in questo campo è giustificata dalla diversa distribuzione statistica di interesse e abilità fra uomini e donne. Queste differenze sarebbero soprattutto “biologiche’’, legate ai livelli pre-natali di testosterone, tali per cui “gli uomini preferiscono lavorare con le cose, le donne con le persone’’.
In questa tesi riprende esplicitamente delle idee espresse nel “memo dell’antidiversità” dell’estate 2017 da James Damore, allora ingegnere del software presso Google, a proposito della minore presenza femminile nell’informatica e nella tecnologia. In seguito, la dirigenza Google decise di licenziarlo per le sue affermazioni, giudicate incompatibili con l’impegno dell’azienda a favore della “inclusività”.
Anche nel caso di Strumia, i provvedimenti istituzionali non hanno tardato: il 30 settembre il CERN – alla cui guida c’è una donna, l’italiana Fabiola Gianotti – ha ritirato la presentazione dal sito ufficiale, perché altamente “offensiva’’, ed ha annunciato la sospensione ad effetto immediato di Strumia mentre un’indagine sui fatti è in corso. A breve è seguita la sospensione anche dall’INFN (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) mentre il rettore dell’università di Pisa ha chiesto l’avvio di un procedimento etico d’ateneo a carico di Strumia. Numerose personalità della scienza (oltre 1600) hanno preso ufficialmente le distanze dalle affermazioni di Strumia, da cui si dicono “sconcertate’’, cercando di confutarle punto per punto e soprattutto di ri-contestualizzare l’argomento in chiave socio-culturale.
Secondo altri, i provvedimenti e la copertura mediatica impietosa sono riprova di una logica dominante delle pari opportunità che, come sostiene Strumia, vuole essere imposta anche a discapito dell’evidenza dei dati. Eppure le affermazioni contenute nella presentazione ritraggono un’immagine distorta sia della situazione, fatta emergere attraverso statistiche e indicatori quantitativi, sia della narrativa delle pari opportunità.
La questione di genere è socio-culturale
Prima di tutto, la rilevanza dei dati raccolti e ĺ’uso fattone sono apparsi molto discutibili. Strumia mostra per esempio un’anticorrelazione (tutt’altro che statisticamente robusta) fra l’indice di uguaglianza di genere del Forum economico mondiale e le percentuale di donne in STEM (acronimo per Science Technology Engineering Mathematics/ Scienza Tecnologia Ingegneria e Matematica) per argomentare che, anche dove un regime pari opportunità è vicino ad essere raggiunto, le donne non si dedicano a queste discipline. Piuttosto, ciò che emerge è che questo indice non restituisce efficacemente il ruolo svolto dall’appartenenza di genere, e dalla parallela componente di condizionamento culturale, nelle aspirazioni lavorative (come la diffusa, implicita associazione delle scienze dure con un’idea di “mascolinità’’), cioè tutti gli ostacoli che le donne devono superare per essere considerate competenti e credibili nel settore solo per il fatto di essere donne.
Prosegue con tabelle e grafici che mostrano come il numero di citazioni alle pubblicazioni scientifiche nella fase di reclutamento sia inferiore per le donne, nonché dati sulla distribuzione del quoziente intellettivo che ne giustificano l’andamento.
Da un lato si tratta di evidenze criticabili a partire dalla problematicità di questi parametri, legata a come un quoziente intellettivo venga misurato e a quali abilità riguardi e all’uso delle citazioni come unico indice di valutazione del merito di un* scienziat* o dell’idoneità ad una certa posizione. Oltre a questo, l’interpretazione dei risultati bibliometrici è tutt’altro che univoca: essi di per sé non dimostrano nessuna intrinseca incapacità bensì riflettono proprio forme di pregiudizio e sessismo, quelle stesse che portano a ritenere automaticamente più autorevole il pronunciamento di un uomo rispetto a quello di una donna. Per capirne la portata trasversale si legga quanto riporta Carlo Rovelli su Facebook:
Non viene considerata, poi, la reale penalizzazione delle donne per esempio nel ricoprire ruoli di guida e di collaborazione o nell’allocazione di risorse e spazi per la ricerca. Negando questi aspetti, si compromette la possibilità di razionalizzare adeguatamente fattori che comportano scoraggiamento, marginalizzazione, esclusione (ed autoesclusione in ambienti di lavoro percepiti non-inclusivi e respingenti). Si rischia inoltre di sottovalutare l’importanza della presa di consapevolezza dei pregiudizi inconsci per garantire uguale partecipazione e per la promozione della diversità in senso più ampio, visto l’impatto sulle scelte di chi recluta.
Le pari opportunità non sono contro la meritocrazia
Con una frase dai toni arroganti e machisti, Strumia sentenzia: “La fisica fu inventata e costruita dagli uomini, non è su invito’’, per concludere che non vi è discriminazione delle donne nell’accesso alla comunità della fisica essendo questo puramente basato sul merito.
Al merito si pretende di sostituire una “ideologia’’ delle pari opportunità che risulta piuttosto nella discriminazione verso gli uomini, come nel suo caso (e qui mette in luce il suo mancato successo in un concorso a confronto con una candidata donna con un numero inferiore di citazioni, imputandolo alla presenza in particolare di una donna nella commissione valutatrice, benché quest’ultima comprendesse anche tre uomini… e tutti i casi in cui sono stati scelti uomini da commissioni esclusivamente maschili?).
Le tesi di Strumia appaiono molto semplicistiche, basate su un’idea naif sia della scelta di carriera come puramente dettata dai gusti personali e avulsa dal contesto di relazioni sociali, sia della meritocrazia, ovvero dell’avanzamento di carriera unicamente determinato dalle competenze. I dati proposti a sostegno di queste tesi sono presentati e interpretati in maniera pretenziosa per veicolare un messaggio sessista e lanciare un attacco personale.
E ancora cita Marie Curie, che fu “benvenuta dopo aver dimostrato cosa sapeva fare ed ebbe dei Nobel’’: non c’è da dimenticare che Marie Curie venne insignita del Nobel nel 1903 per insistenza con la commissione da parte del marito Pierre, a testimoniare come il riconoscimento da parte della comunità non avvenne affatto in maniera scevra da pregiudizi di genere. Anzi, la biografia di Marie Curie è riprova della resistenza e della tenacia necessarie ad una scienziata per affermarsi nella ricerca in fisica nel secolo scorso.
Come lo è quella di Maria Goeppert Mayer, la seconda donna a ricevere il Nobel della fisica (1963), che ottenne un incarico accademico permanente appena 3 anni prima del prestigioso premio e dopo 30 anni di lavoro di ricerca con contratti temporanei o senza retribuzione. Il riconoscimento delle carriere straordinarie di singole fisiche (da Marie Curie a Maria Goeppert Mayer a Donna Strickland, vincitrice proprio del Nobel 2018, alla direttrice del CERN Fabiola Gianotti), non deve ad ogni modo esentare da un’analisi dei processi che intervengono in percorsi professionali più “ordinari’’, un’analisi complessiva che includa sistema d’istruzione, fattori di reclutamento e permanenza nel mondo della ricerca scientifica.
La raccolta di evidenza, sia qualitativa che quantitativa, su forme di discriminazioni e prevaricazioni andrà ulteriormente accrescendosi nei prossimi anni grazie anche al movimento #metoo, che sta facendo incursione anche nel mondo scientifico con l’hashtag #sciencetoo.
L’Accademia Nazionale delle Scienze statunitense ha recentemente pubblicato una serie di studi sugli effetti di molestie subite nell’avanzamento di carriera e secondo le linee guida della National Science Foundation (la principale agenzia di erogazione fondi per la ricerca scientifica negli USA) rinnovate negli ultimi mesi, le istituzioni scientifiche sono tenute a fornire un elenco dei ricercatori accusati di molestie per decidere su eventuali finanziamenti. Sull’onda delle iniziative americane, si è cominciato anche in Italia a portare all’attenzione il tema della violenza di genere nelle università e negli istituti di ricerca (ad esempio con il convegno WeTooInScience).
Una risposta femminista per non smettere di agire
Il pericolo di queste tesi conservatrici è che invitino ad accettare lo status quo e che rafforzino quel senso di subalternità, di “non essere abbastanza brava per…’’ che il fatto stesso che la scienza finora sia stata pertinenza degli uomini tende ad inculcarci, ammantandolo di un (falso) determinismo biologico.
Come risposta femminista, vogliamo demistificare queste tesi e contestare queste voci nel dibattito affinché non lo allontanino dagli aspetti più rilevanti. Ma soprattutto, affinché non distorcano il senso delle rivendicazioni femministe e non inquinino gli sforzi in atto per identificare politiche e pratiche inclusive.
La nostra risposta è che bisogna concentrarsi sul problema della mancanza di figure a cui ispirarsi durante la formazione e della conflittualità fra vita lavorativa e personale. Bisogna fare un lavoro di ragionamento e intervento su stereotipi, aspettative e doveri di genere di matrice socio-culturale, che filtrando le scelte individuali e le valutazioni esterne impediscono realizzazione di potenzialità come quelle di contributo nella ricerca scientifica.
Sono questi, visibili e assodati, che implicano uno svantaggio in questo confronto uomo-donna prima di invocare delle differenze biologiche, per cui mancano risultati scientifici definitivi e la cui entità ad ogni modo non giustificherebbe quelle dinamiche di segregazione verticale e di leaky pipeline (di cui abbiamo parlato qui con dati alla mano) che fanno sì, per esempio, che la percentuale di donne in posizioni dirigistiche nel mondo STEM sia sistematicamente minore rispetto a quello delle laureate in queste discipline.
Le misure con cui agire includono incentivi, iniziative di orientamento alla scelta e di supporto al proseguimento: l’ottica femminista che abbiamo in mente non è quella dogmatica, svilente del merito e fondamentalmente ingiusta descritta da Strumia che mira all’imposizione di quote di genere e di privilegi d’accesso per sfociare in nuove discriminazioni.