Avete presente cosa sono le parole? Vi siete mai soffermati sul loro significato e sulla loro potenza? Le parole sono una parte fondamentale della nostra vita, con loro possiamo comunicare, possiamo riuscire ad entrare in relazione, possiamo riuscire a rappresentare le nostre idee, i nostri bisogni, i nostri sogni.
Succede però che le parole possano essere scagliate con violenza, forza, possano diventare vere e proprie invettive che travolgono come un fiume in piena.
Le parole devono emergere con consapevolezza altrimenti possono diventare armi terribili. Possono diventare veicolo di odio, di disinformazione, di aspra critica volutamente crudele.
E’ il caso del body shaming, cioè l’atteggiamento socialmente accettato con cui si cerca di far vergognare chi ha un corpo fuori da quella che è considerata “la norma”.
Prendiamo come esempio la mia ultima settimana al mare: ho sentito tanti di quei giudizi scagliati verso dei corpi considerati “imperfetti” che tuttora mi chiedo il senso e la gratificazione che si può provare nello sputare sentenze così aride. Se poi fai notare questa modalità così incomprensibile di atteggiamento vieni considerata quella un po’ noiosa, che proprio non riesce a star dentro la “chiacchieretta”.
Mi chiedo ogni volta cosa mai ci sia da ridere sul corpo di un’altra persona, perché dovrei “permettermi” di giudicare una coscia fuori, un vestito che può risultare corto, una taglia che non sia la 40.
Non sto parlando soltanto di chiacchiere tra ombrelloni, ma parlo di riviste, parlo di web, parlo soprattutto di persone che “dovrebbero” avere una consapevolezza maggiore del fatto che quando si parla attraverso un mezzo di comunicazione si ha comunque una grande responsabilità.
Responsabilità di cui, ad esempio, non si fa carico Radio Globo quando chiama “cagne” le ascoltatrici, giusto per citare un fatto che ci ha coinvolto da vicino, ma di cui non si fanno quasi mai carico neanche i giornali definiti “femminili”.
E’ di pochi giorni fa questa immagine pubblicata su Io Donna (testata del Corriere della Sera) che ha fatto il giro dei social, in cui sotto la foto della giovanissima attrice Chloe Moretz è stato scritto: “Peccato non sia così magra da poterli indossare con disinvoltura”.
Insomma, ancora oggi nonostante tutti i passi avanti nella sensibilizzazione sul body shaming, la caccia alle streghe continua. È rivolta all’immagine, e ancora una volta le donne continuano ad essere le protagoniste preferite.
Si fa un gran chiacchierare di ciò che si indossa (troppo corto, troppo lungo, troppo coperto, troppo scoperto) fino al peso, all’adeguatezza delle scelte che vengono compiute.
Se non ti omologhi allora stai pur certa che arriverà chi avrà da ridire su cosa indossi, su quanto pesi, fino ad influenzare le tue scelte di vita.
A volte mi sembra come di percepire due fazioni, e questa distinzione non mi piace per niente, come se potessero esistere granitiche certezze.
Facciamo un passo indietro allora e poniamoci il dubbio, fermiamoci un attimo prima di scagliare le nostre parole (ne avevamo già parlato qui). Non possiamo dimenticare che dall’altra parte ci sono delle persone, ci sono emozioni, progetti, c’è la vita stessa.
Forse è proprio il caso di piantarla quindi con questa critica selvaggia che mi pare voglia andare di pari passo con una ricerca assurda della perfezione.
Che sarà mai poi questa perfezione? Quella che ci propinano gli stessi mezzi di informazione? Quelli che ci propina una società che continua a costruire certezze sulla rassicurazione dell’apparire?
Io ne sono convinta, la perfezione non esiste affatto.
Esiste la libertà ma voglio credere che esista anche il rispetto.
Ma soprattutto esiste il silenzio e spesso possiamo utilizzarlo senza nessuna controindicazione.