Come accade in ogni spazio pubblico, la rete è un luogo in cui si possono sviluppare violenze più o meno palesi, dove possono trovare terreno fertile sessismo e discriminazioni. È ormai chiaro quanto la comunicazione attraverso i social media sia spesso esasperazione di comportamenti antisociali e distruttivi: non è più così strano pensare che i discorsi di odio online aggravino la violenza agìta sia in pubblico che in privato.
Si può dire che oltre all’uso ordinario che si fa dei social, più o meno come passatempo, esiste l’uso di chi fa attivismo, ed è dunque espost* maggiormente a scontri e confronti in rete. Parliamo di soggettività che sono veicolo di contenuti sensibili e vengono riconosciute come obiettivo per le manifestazioni di odio. L’anonimato – difficile nella vita reale – garantisce una condizione ottimale in questi casi.
È possibile vivere in maniera sana l’esperienza dei social network?
Il collettivo Ippolita, che da anni si occupa di autodifesa digitale, parla di “informatica conviviale” per intendere una maniera consapevole di stare nella rete, ma gli scontri e gli attacchi esistono, come esistono i troll e chi agisce nei meandri dell’alfabetismo funzionale per creare scompiglio. È difficile incontrare spazi che ne siano davvero immuni, oltre che pericoloso dare per scontato che chi abbia più esperienza politica o chi si consideri rivoluzionari* o progressista, sia in grado di gestire in maniera lucida le interazioni virtuali. Un profondo lavoro sulle relazioni influenzerebbe anche il modo di affrontare le reti sociali, ma sappiamo tutt* che è uno sforzo che non molt* intendono affrontare, almeno nell’immediato futuro.
Dunque, come difendersi e sovvertire così la sensazione di impotenza che, in molti casi, investe i soggetti vulnerabilizzati? È una domanda aperta e non riusciremo ad esaurirla qui, ma è bene iniziare a porsela.
Ciò che possiamo già fare è riassumere in un breve manuale le esperienze maturate da chi si è ritrovat* spesso davanti alla difficoltà obiettiva di uscire da un conflitto, quando non di fronteggiare una violenza vera e propria, un attacco coordinato, in seguito alla diffusione di contenuti politici, con conseguenze sia dal punto di vista psicologico che di quello della libertà di diffusione in rete di idee e opinioni.
Social: gli interessi commerciali sono la priorità
Va sottolineato che la nostra stessa presenza come avatar e la messa in condivisione di contenuti su piattaforme commerciali, ci sottopone a vivere tra le parentesi di una contraddizione insuperabile. Davvero troppo ingenuo pensare che lo scopo dei social network per come li conosciamo oggi, possa essere filantropico o che i criteri di valutazione o di risoluzione dei conflitti siano neutri o rispondano al sistema di valori che noi o la nostra comunità di riferimento riteniamo giusti e imprescindibili. In sostanza, far parte di un social network deve essere una scelta ponderata: in caso di conflitti dobbiamo aspettarci che gli interessi commerciali vengano garantiti prima di ogni altra cosa.
Questa è l’enorme contraddizione che cerchiamo di rimuovere ogni giorno. Senza negare che sia possibile hackerare certe logiche, di certo non assumeremmo mai Ronald Mc Donald come nutrizionista di fiducia e nemmeno dovremmo aspettarci che Facebook sia un fedele alleato nella lotta contro il capitalismo, il razzismo, il patriarcato, l’abilismo, gli stereotipi di genere, solo per fare degli esempi. Il capitalismo digitale si fa così immateriale da portarci spesso in direzioni poco percorribili. L’impegno costante dovrebbe essere messo nel continuare ad abitare o inventare spazi nuovi e liberati, anche virtuali e formarsi per autogestirli.
Guida all’autodifesa
Tornando al pratico. Molte sono le risorse per interrogarsi sul rapporto coi social network, sulla rete, e l’autodifesa digitale. Qui lo facciamo da una prospettiva di genere interpellando questi stessi soggetti e collettivi amici che militano in ambienti transfemministi e lgbtqi e operano in rete o la studiano.
Questa prospettiva ci darà spunti che valgono anche per molti altri ambiti politici, per una fruizione positiva di strumenti che influenzano fortemente il quotidiano, a partire dal nostro umore fino al comportamento sociale, dall’autostima alla scelta o no di collettivizzare le proprie esperienze e farne strumento di autodeterminazione.
Dunque, se sei stat* oggetto di bullismo in rete, se hai bisogno di strumenti di autodifesa, se vuoi aiutare qualcun* ad uscire dalle conseguenze di un brutto attacco, ecco il nostro breve manuale.
Usa il subvertising!
Eretica, attivista del blog e collettivo femminista Abbatto i muri
«“Sono una puttana, embé?”. Utilizza i termini con cui vieni offesa per capovolgerli. Il trucco è riappropriarsi di un termine offensivo in chiave positiva, autodeterminata e libera. Sui nostri canali abbiamo iniziato con questa tecnica tempo fa e ha funzionato. Ad esempio, l’immagine del bambino atterrito e la battuta “mangia tutto che sennò arriva il gender”. Contro il body shaming abbiamo pubblicato cicatrici, cosce con cellulite, gambe non depilate e altro per raccontare di quel che siamo fatte in realtà. Molti altri materiali per approfondire il tema sono disponibili sul blog».
Rispondi per chi legge
Lorenzo Gasparrini, autore di “Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni“
«Rispondi per chi legge, non a chi pratica bullismo o sessismo in rete. Lascia qualcosa di utile a chi incontra quelle parole e non perdere tempo a parlare con chi non sa ascoltare. Usa l’ironia e l’autoironia per installare un utile e fertile dubbio non su quello o quella che ti offende, ma sul modo e sull’argomento usato per offendere. Sfrutta la tua risposta (una sola!) per aprire una strada a chi legge, con un nome, un link, un concetto. Rendi le brutte parole una bella occasione».
Chi ti attacca e perché?
Ethan Bonali, attivista trans (qua i suoi articoli su Pasionaria.it)
«Quando si subisce un attacco, nell’ottica di difendersi, è importante comprendere chi lo fa più che perché. Questo serve a filtrare le ripercussioni psicologiche, risparmiare energie ed essere efficaci in una eventuale risposta. È importante, infatti, anche saper decidere se vale la pena o no rispondere.
- Cercate di capire chi vi sta attaccando, magari andando a guardare il suo profilo Fb, analizzando il suo lessico, lasciandolo esporsi per farlo sbilanciare;
- Non ponetevi mai in una posizione di svantaggio come giustificare la vostra identità o orientamento sessuale o lasciandovi definire;
- Non cancellate conversazioni spiacevoli ma rileggetele dopo del tempo, a mente fredda, per imparare dagli errori, per individuare i vostri punti deboli e quelli di chi vi attacca poiché, solitamente, le argomentazioni sono sempre le stesse. Riesaminare le dinamiche vi renderà più forti, consapevoli e pront* in futuro;
- Praticate il distacco da chi vi attacca mediante l’ironia e non andate mai sul personale perché questo crea un legame fortissimo con l’interlocutore».
Non fare body shaming!
Antonia Caruso, attivista trans (qua i suoi articoli su Pasionaria.it)
«La prima cosa importante credo che sia mantenersi solamente sul piano dell’oggetto del dibattito. Chiedere sempre delle fonti accreditate che sostengano le loro opinioni. Non insultare mette nella posizione di non essere contro-attaccabili. Non insultare sul piano personale, come se fossimo dei bulletti di seconda media.
Soprattutto non fare body shaming, che è spesso la reazione più immediata. Il body shaming è l’insulto legato all’età, al peso, all’altezza, alla voce o a qualsiasi altra caratteristica legata al corpo».
Fai caso ai tuoi stati d’animo
Collettivo Ippolita, autore di Tecnologie del Dominio. Lessico Minimo di Autodifesa digitale
«Un’altra notifica, un altro messaggio! Mi innervosisce, o mi eccita? Lo stavo aspettando?
Le piattaforme digitali commerciali sono strutturate in modo da richiedere sempre maggiore attenzione e quindi impiego di tempo, tendono a farci entrare in circuiti di interazione automatica. I sistemi di notifica sollecitano l’attenzione, modificando le concentrazioni ormonali nei corpi umani e quindi l’umore.
Perdere la nozione del tempo mentre si utilizzano dispositivi elettronici è un chiaro segnale di assuefazione. È possibile educarsi a rallentare e diminuire le interazioni automatiche, limitare la quantità di notifiche e quindi il tempo speso in uno stato di flusso».
Prendersi cura di sé
Per concludere, diventare oggetto di cyberbullismo può avere conseguenze psicologiche lievi o anche molto gravi.
In moltissimi casi, quando si tratta di interazioni virtuali, entrare in conflitto significa foraggiare la dinamica tossica con la nostra attenzione, in una situazione in cui, spesso, chi interloquisce non ha nessuna intenzione di risolvere un problema. Per questo motivo ecco qualche altro consiglio per passare dall’autodifesa al focalizzarsi più in particolare sul prendersi cura di sé:
- non sottoporsi necessariamente all’interazione con persone che godono nel provocare disagio. Ciò non significa ignorare il conflitto, ma affrontarlo soltanto quando ci siano reali possibilità di innescare dinamiche costruttive. Anche scegliere di riposare o fermarsi è un’opzione: non deve essere vissuta come una sconfitta, serve a ricominciare più preparat*;
- non pretendere di essere compres* da chi si rifiuta palesemente di farlo in uno spazio in cui non riconosciamo vie d’uscita o solidarietà. Meglio usare le energie verso la salvaguardia del nostro benessere o la elaborazione e riorganizzazione collettiva in spazi non virtuali;
- Inoltre, si può non essere d’accordo con tutto ciò in cui crediamo e come lo esprimiamo, ma c’è un tempo per i dibattiti e uno per la solidarietà: facciamo caso a chi ha l’intelligenza di capirlo e riesce a offrirci cure e conforto o a chi prende apertamente posizione in nostra difesa, anche nei momenti in cui ci sentiamo completamente sol*. Questo è utile per combattere l’impotenza e, non di meno, a riconoscere o dare significato alle vere alleanze.
La tentazione di affrontare la politica come fosse un freddo susseguirsi di azioni da sostenere impavidamente, spesso relegando la vita emozionale in un angolo, è forte. Si tratta però di un’attitudine molto maschilista e non fa per niente bene. Risulta fondamentale poter contare su un ambiente circostante inclusivo e culturalmente preparato a mitigare gli effetti negativi del bullismo, ritagliandosi spazi di cura e di formazione personale e collettiva.