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Alice Guy: la prima regista, femminista e ignorata dalla storia

Ripercorrere la vita e la storia di una donna come Alice Guy è un lavoro complesso ma estremamente edificante.

Alice, instancabile lavoratrice, possedeva idee sempre nuove, guizzi di genio, una voglia irrefrenabile e incontenibile di conoscenza e quella spiccata curiosità che l’ha portata fin dove pochi sono giunti: è stata la pioniera della messa in scena, della storia narrata attraverso pellicola, una vera e propria antesignana del cinema come lo intendiamo noi oggi. Alice Guy fu anche, e soprattutto, la prima regista, sceneggiatrice e produttrice cinematografica indipendente che entrò, a gamba tesa, in un mondo totalmente maschile e ostile, a poco più di 20 anni.

È utile fare qualche cenno biografico per poter delineare brevemente i contorni della personalità multiforme e affascinante di Alice Guy.

Alice nacque nel 1873 a Saint-Mandé (Parigi) in una famiglia borghese e agiata di librai, visse tra il Cile e la Francia fino alla morte del padre che la portò, giovanissima, alla ricerca di un’indipendenza economica per aiutare la madre e la famiglia cadute in povertà. Seguì un corso di stenodattilografia e dopo svariati lavori approdò al Comptoir général de Photographie assunta come segretaria dall’industriale Léon Gaumont. Divenne prestissimo la più stretta collaboratrice di Gaumont grazie alle sue doti e ottenne la possibilità di poter assistere, assieme a lui, alla dimostrazione (del 22 marzo 1895) del Cinématographe, l’apparecchio dei fratelli Lumière che riprendeva e riproduceva la realtà in movimento. Assistette alla nascita del cinema e ne rimase folgorata.

Arrivarono presto le proiezioni pubbliche della nuova scoperta e l’interesse prettamente scientifico delle fotografie in movimento portò Gaumont, con le sue ricerche già avanzate, a perfezionare il suo cronofotografo. Alice dopo l’entusiasmo iniziale per questa innovazione vide scemare l’interesse nei confronti dei documentari proiettati a scorrimento continuo, sempre uguali e così monotoni, immaginando le potenzialità di una storia narrata, di una scenetta divertente come puro divertimento e svago.

Si può azzardare, attraverso lo studio delle fonti raccolte in modo frammentario e perlopiù dimenticate dalla storia, che la sua intuizione fosse la prima – rudimentale – forma di messa in scena nel cinema. Coraggiosa e audace, propose a Gaumont la bizzarra idea di costruire una scena per filmarla e ottenne il permesso di girare, a patto di continuare il suo lavoro di segretaria.

Ovviamente Alice intraprese la sua carriera di regista mentre ancora svolgeva il ruolo da segretaria tuttofare, fino alla fine della collaborazione con Léon Gaumont che avvenne durante il trasferimento in America, a Long Island e poi a Fort Lee, sede della Solax Company casa di produzione che fondò con suo marito Herbert Blaché e della quale divenne la presidente nel 1910 e con cui produsse una media di due film a settimana, scrivendone e dirigendone almeno la metà.

Nacque in questo modo (e quasi per caso) La fée aux choux il suo primo film a soggetto girato nel 1896 in una terrazza in disuso, a Belleville, accanto ai laboratori di stampa fotografica, con una scenografia grossolana, degli amici come attori, un neonato e la storia stravagante di una fatina che in un piccolo orto fa nascere i bambini dai cavoli, una storia che venne tra l’altro riproposta in svariare versioni durante la sua prolifica carriera. Questo film oggi è un classico del quale la Cinémathèque française conserva il negativo.

La produzione di Alice fu ricca di innovazioni che rispecchiavano la sua curiosità e la voglia di perfezionarsi, come i film proiettati alla rovescia che permettevano di mostrare il crollo di una casa e poi la sua ricostruzione; il rallentamento e l’accelerazione del giro di manovella che trasformavano tranquilli passanti in creature frenetiche o sonnambuli; l’arresto e la sostituzione con cui era possibile spostare un oggetto che durante la proiezione sembrava soprannaturale; le riprese a distanze diverse che rendevano possibile la compresenza nella stessa immagine di pigmei e giganti; le sovrimpressioni; le dissolvenze utilizzate per le visioni e i sogni; i film all’aperto; le prime prove di sonoro con il cronophone (le canzoni e la musica venivano registrate in laboratorio su un cilindro di cera, immagini e suoni riprese separatamente).

Il successo aumentò e i profitti furono così notevoli che il consiglio d’amministrazione decise di far costruire un vero studio cinematografico. I piccoli film prima di 17, poi di 25 metri, venivano sviluppati, fissati e asciugati a mano, arrotolati su telai di legno e deposti in vasche verticali che un impiegato incaricato doveva agitare costantemente per evitare che i sali, depositandosi, creassero zone di luminosità irregolare.

Molti dei film venivano colorati a mano da due operaie scrupolose che, con una lente da orologiaio sull’occhio, dipingevano delle immagini dalle figure piccolissime usando pennelli sottilissimi e colori trasparenti. A tale metodo si sostituì poi quello del découpage (un lavoro di ritaglio su tre strisce di pellicola, destinate a servire da stampo per la colorazione meccanica) che si eseguiva con un pennino tagliente e richiedeva le stesse cure e la stessa mano leggera del metodo precedente.

Alice lavorò da sola, per un lungo periodo, realizzando i film, controllando il lavoro dei suoi collaboratori, comprando dei soggetti e assumendo degli assistenti, e solo in seguito venne affiancata da dei collaboratori fidati che stettero alle sue direttive. La sua influenza crescente e il potere decisionale acquisito la portarono a essere osteggiata da quei colleghi che non vedevano di buon occhio una donna come lei, libera ed emancipata, circolare nel loro ambiente.

Continuò a produrre film di qualità sempre maggiore: sua priorità fu quella di sovvertire le sovrastrutture sociali, ridicolizzando i tabù e analizzando i comportamenti imposti dal genere, scrivendo e producendo film che trattassero i costumi sociali, le consuetudini per poi schernirle e distruggerle. Fu la prima che vestì gli uomini da donne e le donne da uomini, che ne capovolse i ruoli e descrisse in modo ironico i privilegi maschili della società.

Lei ribaltava le regole sociali vigenti e sgomitava in un mondo totalmente maschile, come donna rivendicava il diritto di potersi imporre professionalmente come tutti i suoi colleghi uomini e con la sua carriera sfondò le mura di una delle roccaforti maschili (fino ad allora) più inespugnabili di tutte, per aprire un grande varco a quelle donne che arrivarono in seguito.

I suoi soggetti preferiti furono le donne, forti e risolute, eroiche e difformi dal solito ruolo di femme fatale e vamp dei film dell’epoca. Ciò che più mi preme raccontare non è la sua biografia con date, momenti specifici e persone da lei incontrate, ma il profilo pionieristico che si profila dalla lettura delle sue memorie.

Il film che più mi ha stupita, per avanguardia e anticipazione dei tempi, è il suo Les Résultats du féminisme (del 1906) collocato in un ipotetico futuro dove gli uomini stanno a casa ad accudire la prole e fare le pulizie mentre le donne lavorano e bazzicano nei bar. I ruoli sociali furono letteralmente invertiti. Si vedono donne che fumano e bevono, che importunano i bei ragazzi e si vedono gli uomini che, spaventati e fragili, portano a passeggio i bambini e si arrabattano tra le innumerevoli e stancanti faccende domestiche. Il mondo funziona come sempre ma al contrario. Sul finale gli uomini, stanchi e incompresi, si ribellano e festeggiano al bar la loro vittoria.

È un film semplicemente geniale e rivoluzionario perché, per la prima volta, ci presenta un mondo stravolto nei ruoli e nelle consuetudini e ci insegna, e mostra, come dovrebbero realmente andare le cose, nonostante ci si ostini comunque a non smuoverci di un solo passo: le donne, sfruttate e dominate dalla prepotenza machista, dovrebbero ribellarsi e destabilizzare ogni norma sociale, accogliere l’invito di Alice e insorgere tutte assieme.

Tempo dopo riprese il soggetto de Les Résultats du féminisme e girò, negli Stati Uniti, In the Year 2000 (del 1912), suo primo film di fantascienza purtroppo andato perduto.

Poi ci sono le commedie che mostrano, con ironia e simpatia, delle scene surreali dove la protagonista con una lingua particolarmente collosa si ritrova dei folti baffoni in seguito a un bacio appassionato (La femme collante del 1906), c’è la madre amorevole che diventa una matrigna crudele (La maratre del 1908) o la donna incinta, in preda a delle strane voglie, narrata con un pizzico di erotismo sotteso (Madame a des envies del 1907). E non mancano neppure i colossal come il suo film più ambizioso La naissance, la vie et la mort du Christ (del 1906) in cui si avvalse di ben 300 comparse (fatto assolutamente inusuale per il periodo), i melodrammi di origine letteraria e di impostazione teatrale come La Esmeralda (del 1905), i film drammatici con un retrogusto poetico come Falling Leaves (del 1912) appartenente già al periodo americano. I film basati sui trucchi, gli incantesimi, l’horror, l’uso di dettagli, mascherini e doppie esposizioni che accrescevano l’effetto drammatico del racconto. Moltissimi andarono perduti e tanti vennero attribuiti ad altri registi o a dei semplici collaboratori di passaggio.

Dopo, un lungo periodo di fama e successo, venne totalmente dimenticata ed estromessa dal mondo del cinema che essa stessa aiutò a far nascere. Nel 1922, malgrado il continuo successo dei suoi film, di fronte alla straordinaria potenza delle major, non fu più possibile mantenere in attività la piccola società indipendente di cui era produttrice, soggettista e regista; la Solax Film Corporation fu liquidata definitivamente.

Il grande cinema le voltò le spalle, dopo essersi nutrito del suo lavoro instancabile e geniale, venne obliata dalla storia e respinta da quel mondo che fino a poco prima era tutto il suo mondo. Cadde in povertà, costretta a fare ogni tipo di lavoro saltuario per mantenere sé e i suoi due figli.

Per alcuni, Alice, fu semplicemente la segretaria personale di Gaumont, e non la regista/produttrice/sceneggiatrice di quasi mille film e, anzi, venne spesso omessa dai grandi storici e critici cinematografici del tempo che oscurarono la sua prolifica attività registica ignorando o sminuendo il suo importantissimo lavoro. Venne letteralmente schiacciata dalla fama e la fortuna dei suoi colleghi uomini, tanto da portarla a scrivere la sua autobiografia con l’intento di riacquistare i riconoscimenti che le vennero ingiustamente tolti, ma non riuscì mai a farla pubblicare; morì a Mahwah (New Jersey) nel 1968.

Nel 1973, Anthony Slide, archivista all’American Film Institute, ricevette il manoscritto dalla figlia di Alice, Simone Blaché, e si mise in contatto con un’associazione femminista francese L’Association Musidora (dal nome di un’altra cineasta dimenticata, Jeanne Roques), associazione formatasi proprio con l’obiettivo di preservare la memoria del lavoro cinematografico delle donne. Fu così che, finalmente, nel 1976 gli sforzi di un gruppo di femministe permisero la pubblicazione delle Memorie di Alice Guy e proprio in questa data nacque la storiografia cinematografica delle donne, poiché – grazie alla caparbietà di Alice Guy – venne alla luce un fatto fondamentale: il cinema fu anche delle donne.

Studiose e studiosi iniziarono ad approfondire, riconsegnare in mano alle donne una storia nuova, che includeva tutte le registe, sceneggiatrici, produttrici nell’industria cinematografica del periodo muto, a lungo dimenticate. Alice fu pioniera e antesignana pure in questo, nella forza di sfondare le mura di quella roccaforte dalla memoria egemone, dominante, che ha sempre cercato di annientare le tracce, le voci, la presenza femminile nella storia.

Attualmente, nonostante sia passato quasi un secolo dagli albori del cinema, le donne che lavorano nel mondo cinematografico come registe e produttrici sono sempre troppo poche – pochissime – in confronto ai colleghi uomini (ne abbiamo parlato anche nell’articolo “(Mostra del Cinema di Venezia, poche registe e male gaze: abbiamo un problema“).

Oggi la figura di Alice Guy è conosciuta, riconosciuta e narrata con ammirazione attraverso articoli, ricerche, circoli femministi che portano il suo nome, documentari, film, e viene ricordata in tutto il mondo per la sua immensa lungimiranza e poetica genialità.