In occasione del 28 settembre, Giornata di azione globale per la depenalizzazione dell’aborto, vogliamo ricordare Adele Faccio, femminista e politica italiana scomparsa nel 2007, una delle protagoniste delle lotte che negli anni Settanta permisero alle donne di acquisire diritti fondamentali, in particolare quello di interrompere volontariamente una gravidanza.
Adele nacque nella provincia di Udine, figlia di padre anarchico e parente della scrittrice femminista Sibilla Aleramo. Il periodo universitario a Genova fu cruciale per lo sviluppo di quella coscienza politica che la portò a diventare staffetta partigiana (con il nome di battaglia “Vittoria”) nella lotta per la Liberazione dal nazifascismo e che la guidò in tutte le battaglie civili che intraprese in seguito.
A 28 anni, nel dopoguerra, partì alla volta della Spagna per contrastare un’altra dittatura, quella di Francisco Franco: restò per quattro anni a Barcellona dove imparò le tecniche della disobbedienza civile e della resistenza non violenta, che utilizzerà tanti anni dopo in Italia.
Nel 1953 tornò a Genova per insegnare alla scuola secondaria: alle studentesse e agli studenti parlò di antifascismo e di resistenza con il linguaggio delle fabbriche. Si trasferì poi a Milano, dove lavorò come traduttrice dallo spagnolo e dal catalano. Scrisse su numerose riviste culturali e di controcultura e fondò la rivista femminista La via femminile. Con il suo primo articolo “Moralità dell’aborto“, iniziò a interessarsi al dramma degli aborti clandestini, allo sfruttamento e la colpevolizzazione del corpo, al tasso di mortalità delle donne.
Il femminismo, insito e connaturato in ogni fase della sua vita, fu la colonna portante di tutte le sue lotte: l’attivismo nei collettivi femministi e nelle associazioni che propagandarono la contraccezione e l’educazione alla sessualità (Collettivo di Brera, Aied), la lega per il divorzio, la voglia di maternità scevra dalle convenzioni sociali dell’epoca, la decisione di crescere e accudire suo figlio Dario, da sola, senza la presenza del padre da cui non lo fece mai riconoscere.
Per lei “non violenza” significò portare una contraddizione a manifestarsi, deflagrare. Il 20 settembre del 1973 fondò, a Milano, il Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto) un centro che in cinque anni organizzò, nella sede del Partito radicale di cui faceva parte, seimila aborti che sfuggirono al mercato della mafia dei dottori dai cucchiai d’oro, medici che di giorno professavano la fede anti-aborto e di notte, nelle cliniche e ambulatori privati, praticavano illegalmente l’aborto a prezzi proibitivi.
In questo centro si andò creando un punto di riferimento per tutte quelle donne e ragazze, indigenti e non, che vollero abortire in sicurezza. Scopo principale del Cisa fu quello di fornire informazioni e assistenza con atti di disobbedienza civile. Praticarono l’aborto con il metodo Karman dell’aspirazione (inserendo nell’utero un sistema di cannule di metallo a diametro graduato collegate a una macchina aspiratrice), ritenuto più sicuro ed efficace di quello per raschiamento, fissarono una cifra simbolica di 50 mila lire per ogni intervento e lo fecero gratis per tutte le donne che non poterono permettersi di pagare.
Adele cercò e trovò – così – una soluzione pratica a questo problema che la coinvolse talmente tanto da portarla persino a trascorrere 36 giorni di carcere a Firenze, quando all’età di 54 anni, nel gennaio del 1975, annunciò di aver abortito volontariamente.
L’annuncio, fatto durante un’assemblea dei Radicali, le riservò un mandato di cattura e una condanna per aborto volontario, considerato ancora come delitto “contro l’integrità e la sanità della stirpe”. Venne arrestata al suo rientro da una breve fuga a Parigi, con la compagna di partito Emma Bonino, durante la Conferenza nazionale sull’aborto indetta dal Movimento per la Liberazione della Donna al teatro Adriano di Roma.
Durante la sua permanenza nel carcere di Firenze fece propaganda tra le detenute parlando di lotta all’aborto clandestino, di disobbedienza civile, del significato sociopolitico che assunsero le donne costrette ad abortire clandestinamente e di quanto fossero stigmatizzate dalla società. Protestò anche perché al compagno di partito Gianfranco Spadaccia era permesso l’utilizzo della macchina da scrivere e la lettura all’interno del carcere, mentre per lei, in quanto donna, l’unica macchina consentita fosse quella da cucire.
Nel 1976, un anno dopo, fu tra i primi quattro radicali che entrarono in parlamento in vece di deputata della Repubblica. Partecipò all’elaborazione della Legge 194 “per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” che venne varata nel 1978 e di cui non approvò la stesura finale poiché considerata frutto di troppe mediazioni tra Stato e Chiesa, di limitazioni e ridotte possibilità di applicazione.
Votò contro e abbandonò definitivamente la politica, delusa e in punta di piedi. Continuò a dedicarsi alla sua grande passione per la poesia e la pittura, organizzò mostre ed eventi culturali, fino alla sua morte, avvenuta a Roma all’età di 86 anni, l’8 febbraio del 2007, quasi dimenticata e senza clamori.
Ripercorrendo la vita di Adele Faccio risulta impossibile non farsi trascinare dalla sua forza inarrestabile e dal suo perenne viaggiare controvento. Ha dedicato la maggior parte della propria esistenza alla riscrittura e il mutamento della società, quella società nella quale viviamo e grazie a cui possiamo godere di quei diritti che solo qualche decennio fa erano inattuabili, e che noi oggi consideriamo quasi scontati.
Nonostante fosse una donna di grande cultura e appartenesse all’ambiente borghese era ben conscia della fortuna della sua condizione di donna benestante e istruita. Ha sempre lottato affinché tutte le donne potessero accedere alle informazioni fondamentali per gestire consapevolmente il proprio corpo, per accedere a una vita sessuale libera e cosciente, affinché tutte (nessuna esclusa) potessero svincolarsi dalla morsa del mito della femminilità dipendente e rassegnata, che ha sempre relegato le donne in un cantuccio recondito del mondo.
Si è battuta per ottenere quella libertà sessuale che ci ha rese delle donne potenzialmente libere, proprio perché dal corpo, dalla sessualità svincolata dalla riproduzione, s’avvia il lungo e tortuoso percorso d’emancipazione della donna.
È divenuta il simbolo di tutte coloro che hanno lottato per la legge sull’aborto sicuro, legale, grazie alle sue estenuanti proteste e i clamorosi imbavagliamenti in aula, all’arresto, alle conferenze in giro per le scuole e le piazze – rivolte soprattutto alle giovanissime – alle innumerevoli interviste, ai testi dove parlò strenuamente di femminismo, contraccezione, aborto, libertà di scelta, autonomia, indipendenza economica, di pensiero, coscienza, liberazione dai ruoli tradizionali.
Grazie a tutto questo è riuscita a renderci un po’ più consapevoli di noi stesse, di quanto sia importante scendere in piazza ogni giorno, non abbassare mai la guardia, per rivendicare a gran voce, esigere, che i nostri diritti imprescindibili vengano rispettati.
Alla “pasionaria” Adele dedichiamo l’ennesima battaglia per la nostra libertà, in questa Giornata di azione internazionale per l’aborto sicuro, ricordando le sue parole:
Bisogna esigere che la contraccezione venga insegnata obbligatoriamente nelle scuole, prima della pubertà, che venga rimborsata dalla mutua, come gli eventuali aborti necessari, e che la propaganda sia autorizzata e incrementata continuamente. L’ABORTO DEVE ESSERE CONCORDATO LIBERAMENTE FRA LA DONNA E IL SUO MEDICO E DEVE ESSERE LIBERO E GRATUITO. Bisogna battersi in questo senso. Solo con queste avvertenze la donna potrà ricominciare a crearsi una alternativa costruttiva che le permetta di raggiungere una autonomia sufficiente e necessaria a gettare le basi per la sua autogestione e per la libertà della sua evoluzione personale di individuo libero e cosciente.
[Per approfondire: Raistoria: Adele Faccio, in prima fila a favore dell’aborto; Eugenia Roccella: Aborto Facciamolo Da Noi; Gruppo Radicale “Adele Faccio”]