“Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia”.
Si apre così l’articolo 4 della famosa legge 194, approvata nel 1978 dal parlamento italiano. Una legge conquistata a fatica, sacrosanta per molti, attaccata e aggirata da altri. Sì, perché in Italia, come nel resto del mondo, l’aborto è ancora un argomento che divide. I movimenti pro-life (“per la vita”) e quelli pro-choice (per la libera scelta) continuano a darsi battaglia dentro e fuori istituzioni e strutture ospedaliere. In Italia l’ultimo caso risale a pochi giorni fa, quando a Milano centinaia di persone sono scese in piazza per protestare contro una manifestazione di anti-abortisti guidata da estremisti cattolici e Forza Nuova.
Ogni stato ha la sua legislazione: basti pensare che l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) su richiesta (quindi non per scopi terapeutici, ma semplicemente per scelta) è negata in paesi considerati democratici come Argentina, Brasile, Giappone, Finlandia e Irlanda.
Anche l’Unione Europea si è occupata dell’argomento e proprio nelle scorse settimane è stata approvata con larga maggioranza la relazione redatta da Marc Tarabella, in cui si sostiene che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto. Ancora una volta, però, si è dovuto trovare un compromesso, aggiungendo un emendamento che specifica come la legislazione sulla riproduzione rimane di competenza nazionale.
Nel nostro paese questo può solo significare che la 194 continuerà ad essere aggirata dai tanti medici obiettori -molto spesso mossi da scrupoli sulla propria carriera, più che di coscienza – e che la maggior parte delle donne si ritroverà costretta a rivolgersi a costose cliniche private per ottenere quello che lo Stato aveva assicurato di garantirle. Per questo le femministe del gruppo “Cagne Sciolte” ha manifestato quando all’ospedale San Camillo di Roma si è sfiorato il rischio che venisse nominato un primario obiettore di coscienza. Ed è allarme all’ospedale Niguarda di Milano, rimasto con soli due medici non obiettori, troppo pochi per garantire un regolare svolgimento del servizio.
Ma l’informazione su aborto e contraccezione di emergenza in Italia è così scarsa, che c’è anche chi – in genere le categorie più indifese, come le prostitute o le adolescenti – si affida all’aborto “fai da te” con farmaci comprati su internet, che possono causare gravi problemi di salute e anche la morte, come è recentemente capitato a Genova, dove una 17enne ha rischiato di morire per emorragia interna dopo aver assunto un farmaco abortivo comprato senza prescrizione medica.
Per capire meglio come si evolve la situazione, abbiamo intervistato Emilio Arisi, chirurgo ginecologo presidente della Smic (Società Medica Italiana per la Contraccezione) e membro del consiglio nazionale dell’Aogoi (Associazione Ginecologi Ospedalieri Italiani), di cui è segretario regionale per il Trentino. Da anni lotta per il sostegno dei diritti della donna e si occupa anche di prevenzione e di educazione sessuale, per evitare gravidanze indesiderate e aiutare le pazienti nelle difficili scelte che riguardano l’aborto.
Nel 1978 è stata approvata la legge 194. Lei è sempre stato in prima fila per la salvaguardia del diritto all’aborto. Come si ricorda quel periodo?
La necessità di limitare le gravidanze non desiderate, in tempi e in luoghi nei quali la contraccezione sicura non è disponibile, è un problema presente da sempre in tutte le culture. Con una differenza sostanziale tra i ricchi, che hanno sempre potuto permettersi procedure garantite, e i poveri, che hanno sempre dovuto ricorrere alla praticona di campagna o addirittura all’autoaborto. E questo è quello che principalmente avveniva in Italia nei decenni che hanno preceduto la approvazione della legge 194, anni in cui i giornali vedevano regolarmente la notizia di donne morte per aborto procurato, o di donne che comunque ne avevano subito dei danni fisicamente importanti che avrebbero compromesso la loro futura salute riproduttiva.
Era per questo che in collaborazione con organizzazioni internazionali, come ad esempio l’Ippf di cui sono stato per molti anni presidente della branca italiana, o come l’Udi, ho girato decine di paesi e città in Emilia ed in Italia con la cassetta delle diapositive a spiegare i vari metodi anticoncezionali. Ovviamente non ero il solo. In Italia decine di donne e di uomini facevano la stessa cosa. Erano soprattutto le donne e gli uomini dei consultori, quelle donne e quegli uomini che riempivano le piazze di manifestazioni. Ne ricordo in particolare una grandissima a Roma nel 1976.
Poi dopo l’approvazione della legge il difficile era trovare personale sanitario che ti aiutasse a praticare l’aborto. In quei tempi ero in un ospedale dove dovevo fare tutto da solo, dal fissare gli appuntamenti a preparare la documentazione, dall’anestesia locale a prepararmi gli strumenti, a trasportare in barella le donne. Poi pian pianino gli estremismi si smorzarono, ma la collaborazione non è mai stata grande, tanto che ancora oggi il 70-80% del personale sanitario in Italia è obiettore di coscienza.
Nel corso di questi anni ha notato dei cambiamenti effettivi nella società italiana?
Come accennavo, alcuni cambiamenti in effetti sono avvenuti in Italia, purtroppo non nella coscienza civile, ma piuttosto nel fatto che i cittadini tendono a rinchiudersi nel proprio io privato, dimenticando le lotte che hanno reso disponibili i diritti. Così per l’aborto vi sono ancora molte persone che si dichiarano contrarie per ragioni di coscienza, ma come si sa la coscienza è qualcosa di molto elastico ed a volte si tira da una parte o dall’altra a seconda del proprio egoistico interesse. Forse conviene non dimenticare che anche le donne cattoliche abortiscono quando ne hanno bisogno.
Come mai i medici obiettori aumentano e le donne si rivolgono sempre più spesso a strutture private?
I medici obiettori aumentano perché ai non obiettori viene spesso impedita una progressione della carriera, venendo relegati alle procedure di aborto, mentre agli obiettori vengono riservate le procedure di più grossa soddisfazione psicologica. Aumentando poi il numero degli obiettori, il carico di lavoro di quelli che non obiettano diventa sempre più notevole, inducendo un ciclo perverso. Così ci sono in Italia ospedali, intere provincie od addirittura Regioni dove risulta difficile se non impossibile abortire.
Sembra quasi che il governo stia scegliendo la strada della resistenza passiva, nonostante i precisi richiami del Consiglio d’Europa. Come si potrebbero migliorare i diritti delle donne in tema di salute sessuale e riproduttiva? La 194 andrebbe migliorata?
Per migliorare la situazione basterebbe ricordare che se il medico può obiettare, ciò non può fare la struttura ospedaliera. Ne consegue che le singole aziende sanitarie locali dovrebbero dotarsi di nuclei medici e sanitari che siano in grado di praticare le procedure abortive in ogni presidio ospedaliero. Per fare ciò si può utilizzare ad esempio la mobilità del personale, oppure si possono fare delle assunzioni ad hoc.
Troppo spesso oggi capita che il medico appena assunto faccia l’obiezione di coscienza, dimenticando che questo suo diritto va ponderato e bilanciato rispetto al diritto della donna ad avere l’opportunità di abortire, e rispetto al diritto del sistema sanitario nazionale che l’ha assunto e lo paga di poter far funzionare in modo corretto una legge dello Stato. Detto in altri termini, se nel 1978 un medico già in servizio poteva avere un razionale diritto all’obiezione di coscienza, il ginecologo assunto successivamente dal servizio sanitario nazionale sa perfettamente della esistenza della legge 194. Se non vuole praticare l’aborto cambia specialità o non fa il medico. Ciò significherebbe avere realmente coscienza civile.
Oggi quali sono i metodi contraccettivi più efficaci?
I metodi contraccettivi più efficaci sono certamente quelli cosiddetti “long-acting”, quelli cioè che si usano per lungo periodo, come ad esempio la spirale, sia essa al rame o al progestinico, o il bastoncino sottocutaneo. Ognuno con i suoi pro ed i suoi contro. Altrettanto sicuri sono certamente metodi come la pillola o l’anello vaginale o il cerotto, che però presentano lo svantaggio che la donna deve rinnovare continuamente l’impegno ad usarli.
Per quanto riguarda invece i farmaci abortivi, cosa pensa della pillola Ru486?
Il mifepristone, o Ru486, il farmaco utilizzato per l’aborto medico, è certamente un grande progresso nelle procedure dell’aborto, perché è molto più rispettoso del corpo della donna, essendo meno invasivo e permettendo di evitare anestesia e procedura chirurgica. Tant’è vero che in molti paesi del mondo, ed anche in Europa, come ad esempio in Francia e in Gran Bretagna, dove è disponibile dagli anni ’80, la procedura medica è ormai diventata da molti anni quella prevalentemente utilizzata. Non così in Italia, dove e’ ancora usata in una minoranza di centri.
I casi di cronaca quotidiana dimostrano che le nuove generazioni sono tornate ad “arrangiarsi”, ricorrendo all’acquisto di farmaci on line o ad aborti fai da te. Secondo lei la colpa è da attribuire alla cattiva educazione sessuale in età adolescenziale?
Non c’è dubbio che informazioni non corrette nell’ambito della salute sessuale e riproduttiva, incluse quelle sui metodi anticoncezionali, condizionano in modo decisivo i comportamenti delle donne e delle coppie, in particolare nell’adolescenza, durante la quale è facile lasciarsi influenzare da atteggiamenti irrazionali. In questo ambito la società nel suo insieme, ed in particolare la scuola e la famiglia, hanno una grande responsabilità. Ciò viene oggi ulteriormente aggravato dal fatto che è possibile procurarsi i farmaci attraverso la via informatica, da cui deriva la possibilità di assumerli senza un reale controllo medico, che in questi casi può portare a gravi complicazioni fino al rischio della vita, come abbiamo recentemente sentito a Genova.
Infine cosa consiglia alle giovani coppie o ai genitori di adolescenti che si ritrovano a dover gestire situazioni di gravidanze non desiderate? Come prevenire ed evitare casi come quello della ragazza di Genova ?
Se in media il 50% delle gravidanze va a finire in aborto volontario, questa percentuale sale all’80% nelle giovani adolescenti. Di questo devono essere consce le famiglie e le scuole, che si devono attivare per fornire informazioni atte a prevenire questi disastri psicologici e fisici. Non è negando le informazioni che si evitano i rapporti sessuali, ma è fornendo informazioni in modo responsabile che si possono limitare i possibili danni che derivano dall’ignoranza.
Il caso della ragazza di Genova mette proprio in evidenza come i giovani di oggi abbiano pochi paracadute informativi che li proteggano in questo ambito. E tra questi paracadute vorrei che non si dimenticasse l’utilizzo della contraccezione di emergenza, che può sicuramente salvare da molte gravidanze non desiderate, purché assunta in tempo adeguato.